Donne che vivono nell'ombra

Quale e quanto posto hanno nei sindacati le giovani donne immigrate? A questa domanda sta cercando di rispondere un interessante progetto messo in cantiere dalle responsabili delle politiche sindacali nei settori donne, pari opportunità e giovani, dei tre sindacati Flmo, Fcta e Sei. Il 10 gennaio scorso s’è tenuto a Zurigo un incontro per presentare tale progetto ed i suoi risultati intermedi, vale a dire quelli scaturiti dall’analisi del quadro della situazione e da una serie di interviste. In seguito, il tutto dovrà essere completato con le indicazioni che verranno tratte anche da occasioni di dibattito come l’incontro di Zurigo, per formulare una piattaforma di misure concrete. Le linee generali del progetto, denominato “Sindacati: (non) un posto per giovani migranti?!”, sono state descritte da Brigitte Aschwanden, responsabile nazionale del Sei per le pari opportunità, la quale è partita da alcune considerazioni di fondo. «Penso che le pari opportunità e la protezione dalle discriminazioni siano i fondamenti di ogni integrazione. Le relative rivendicazioni devono perciò andare al di là del mondo del lavoro e coinvolgere tutti i settori, anche a livello politico. I sindacati vi hanno un ruolo molto importante: sono l’unico posto in cui gli immigrati possono esercitare un’influenza politica, benché indiretta», ha detto la signora Aschwanden. Per il Sei, che vuole svolgere un ruolo politico attivo, il coinvolgimento della sua base è perciò molto importante, soprattutto quello degli immigrati che sono circa i due terzi dei suoi membri. La lotta contro le discriminazioni strutturali è quindi un tema centrale nel Sei. Anche la promozione dell’integrazione è fondamentale, dato che nel mondo del lavoro le discriminazioni sono particolarmente numerose. L’integrazione non è però automatica: gli immigrati di seconda generazione padroneggiano certo la lingua, ma nella formazione e riqualificazione professionale in parte restano indietro rispetto ai coetanei svizzeri. «Le donne immigrate accusano una doppia discriminazione, nella società e nel mondo del lavoro, in quanto straniere e in quanto donne», ha proseguito la dirigente sindacale. Le giovani immigrate sono sottorappresentate tra i membri attivi dei sindacati. «Ci domandiamo allora come si possa cambiare questa situazione. Il nostro progetto serve proprio a cercare una risposta a tale domanda». Avendo notato che delle giovani immigrate non si parla molto, le tre responsabili sindacali dei settori immigrazione ed integrazione, giovani e donne, hanno deciso di realizzare proprio in questo settore un progetto comune, per il quale hanno poi ricevuto il sostegno del Fondo contro il razzismo e per i diritti dell’uomo. L’obiettivo doveva essere trovare le risposte alle seguenti domande: Qual è il ruolo dei sindacati nella lotta alle discriminazioni? Cosa possono fare i sindacati per favorire l’accesso delle giovani immigrate al mondo delle professioni e del lavoro? Quali sono le attese delle giovani immigrate rispetto ai sindacati? Come si possono motivare le giovani immigrate ad impegnarsi attivamente nel sindacato e portarvi le loro capacità? Il progetto è stato suddiviso in tre parti. La prima rappresenta un’analisi della situazione, quindi di dati, programmi, progetti ed offerte rispetto ai problemi delle giovani immigrate nella vita professionale. «Ciò che constatiamo è che non esistono poi tante offerte indirizzate in modo speciale alle giovani immigrate. Vi sono certamente progetti per l’inserimento nel mondo della scuola e dell’apprendistato; ma praticamente non ne esistono per giovani straniere che, venute in Svizzera, chiedono di essere direttamente inserite nel mondo del lavoro». Altra constatazione: le giovani immigrate sono sottorappresentate tra i membri del Sei. Per esempio, tra quelli che fanno l’apprendistato, il 75 per cento sono svizzeri; e di donne immigrate apprendiste tra i membri del Sei non ce n’è quasi nessuna. Nella seconda parte del progetto sono state elaborate le domande per le interviste condotte presso 15 giovani immigrate. I risultati emersi da queste interviste, raccolte ed elaborate nella terza parte del progetto, sono stati presentati nell’incontro di Zurigo da Anita Neff, responsabile del gruppo d’interesse giovani del Sei. Le donne intervistate, d’età compresa tra i 16 e i 24 anni, provengono da paesi diversi e lavorano in rami diversi. Sono state contattate in parte tramite le commissioni “immigrati”, in parte tramite i responsabili del settore donne nelle sezioni, o ancora attraverso i progetti citati da Brigitte Aschwanden già esistenti per le giovani immigrate. Le interviste sono avvenute mediante il colloquio diretto. «Sono stati colloqui molto intensi», ha detto Anita Neff, «ed è stato per me molto interessante, un vero arricchimento, che queste giovani donne mi abbiano parlato di sé in piena fiducia». Circa due terzi delle intervistate hanno detto di conoscere un sindacato (la metà ha citato il Sei) attraverso la famiglia ed i conoscenti, ma anche grazie alla televisione ed alle manifestazioni. Circa la metà non ha conosciuto alcun sindacato nei paesi d’origine. Un terzo non sa che cosa sia un sindacato. Ma per le altre la sua immagine è chiara: è il rappresentante dei diritti e degli interessi dei lavoratori, offre consulenza ed aiuta gli immigrati, è politicamente impegnato contro il razzismo, per l’integrazione e contro il lavoro nero. Altre domande hanno riguardato i compiti specifici che un sindacato dovrebbe svolgere. Quanto ai problemi delle giovani immigrate, la prima difficoltà indicata è la lingua, seguita dalla differenza di mentalità rispetto a quella svizzera. Ci sono poi i pregiudizi della popolazione e le discriminazioni nella ricerca di un posto di lavoro, la disparità di trattamento delle donne, le difficoltà legate allo sradicamento. Seguono ancora i problemi legati alla mancanza di formazione ed al non riconoscimento dei diplomi, le difficoltà d’integrazione, la cura dei figli, la discriminazione salariale ed il mobbing. Quali contromisure da prendere, le intervistate hanno indicato la lotta alle discriminazioni, i corsi di lingue, maggiore informazione sul mondo del lavoro, sulle condizioni poste in Svizzera e sui diritti. Circa l’impegno dei sindacati verso le giovani immigrate, le intervistate hanno di nuovo indicato l’informazione in diverse lingue, ma anche il sostegno alla formazione professionale e la promozione dei contatti interpersonali mediante iniziative culturali e per il tempo libero. La maggioranza ha detto di preferire i gruppi misti per sesso e fasce d’età, da limitare alle giovani donne solo quando si tratta di problemi personali. Ora, le risposte emerse da queste interviste sono la base di lavoro per l’ultima fase del progetto. «Vogliamo discutere quali sono le discriminazioni che subiscono le giovani immigrate sul lavoro, nella vita di ogni giorno e nel sindacato. E cosa concretamente nel sindacato si può fare per impedire o ridurre le discriminazioni a loro danno», ha detto Brigitte Aschwanden. Le conclusioni di tutto questo lavoro saranno in seguito presentate e distribuite tra i sindacati. Le misure proposte contro le discriminazioni dovranno essere applicate soprattutto nel nuovo grande sindacato interprofessionale Unia che sta per nascere. Lavoratrici e sottorappresentate Per precisare il quadro entro cui valutare i risultati delle interviste del progetto, Erika Trepp, responsabile nazionale del sindacato Fcta per le donne e le pari opportunità, ha descritto l’importanza dei migranti nel mondo del lavoro e la loro rilevanza per i sindacati. Durante il boom economico del secondo dopoguerra, gli immigrati aumentarono dal 6 al 17 per cento sulla popolazione totale. Fino alla crisi del 1973, in seguito alla quale furono soppressi 340 mila posti di lavoro. Il tasso di disoccupazione rimase però fermo allo 0,3 per cento, perché la disoccupazione venne esportata: in un solo anno furono rimandati a casa 120 mila lavoratori stranieri. Oggi in Svizzera vivono 7,5 milioni di persone. 1,5 milioni sono stranieri, di cui il 29 per cento donne. Su una popolazione attiva di 4,3 milioni, gli stranieri sono circa un milione. Quelli che lavorano in proprio sono 67 mila. Rispetto alle nazionalità, i più numerosi sono sempre gli italiani, seguiti da serbo-montenegrini, portoghesi, tedeschi, turchi, spagnoli e francesi. L’81,7 per cento degli immigrati ha meno di 40 anni; mentre gli svizzeri che superano questa età sono il 50 per cento. I lavoratori immigrati hanno costruito in Svizzera ferrovie, autostrade, gallerie, centrali elettriche. Il 40 per cento del personale dell’ospedale universitario di Zurigo è straniero. Insomma, senza gli immigrati l’economia svizzera non può funzionare. Pagano le tasse; ed ogni anno contribuiscono con 4,4 miliardi di franchi all’Avs, ma ne ricevono un terzo di meno in prestazioni. Per la loro scolarizzazione la Svizzera non ha speso nulla. E sono consumatori che alimentano il mercato interno. Le donne immigrate sono sottorappresentate nell’amministrazione pubblica, nell’insegnamento e nel settore finanziario; ma la loro presenza è crescente nel ramo dei servizi, mentre è stabile o si riduce nell’industria e nell’edilizia. Quanto ai salari, gli svizzeri, uomini e donne, guadagnano in media 5’550 franchi al mese; i frontalieri, come categoria, in media 5’069; gli stranieri domiciliati 4’715 e i dimoranti annuali 4’376. A guadagnare di più sono gli svizzeri uomini, seguiti dai frontalieri uomini e dai domiciliati uomini, poi le donne svizzere e infine le donne straniere. La povertà, la nuova povertà, quella dei “working poors”, incide ovviamente più tra gli immigrati che tra gli svizzeri. Quanto al rapporto con i sindacati, già storicamente gli immigrati avevano contribuito alla loro nascita. Oggi gli stranieri costituiscono un quarto di tutti i lavoratori; in certi settori sono la maggioranza e, sindacalmente parlando, ne rappresentano l’avanguardia. Un sindacato che non ne tiene conto non può funzionare. Lo stesso vale nei confronti delle donne immigrate: sono le donne svizzere che, nei sindacati, devono capire i problemi delle donne straniere e collaborare con loro. «In breve», ha concluso Erika Trepp, «un sindacato in Svizzera senza lavoratori immigrati per me non è un sindacato. E viceversa, senza un sindacato gli immigrati, uomini e donne, non possono affermare i loro diritti politici».

Pubblicato il

16.01.2004 02:30
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