Le commesse di Unia cominciano a mobilitarsi per tempo. Lunedì alcune di loro sono andate a manifestare davanti a Palazzo federale contro la modifica della legge del lavoro, che spalanca le porte al lavoro domenicale per tutti gli esercizi di commercio e di servizi che si trovano nelle stazioni. Sul tema si voterà il 27 novembre prossimo.
I passanti le guardavano incuriositi. Non capita tutti i giorni di vedere una cinquantina di persone, in maggioranza donne, che se ne vanno in giro con le bandiere di Unia bianche e rosse sulle spalle e con grandi mani rosse di polistirolo gridando “giù le mani dalle mie domeniche”.
Sono dirette davanti a Palazzo federale. «Cosa vogliamo? Non vogliamo che le commesse lavorino la domenica», spiega la sindacalista Catherine Laubscher ad una donna che la interroga. Una collega distribuisce volantini che spiegano le ragioni del no sindacale alla modifica approvata dal parlamento e contestata con l’arma del referendum.
Per alcune commesse questa è la prima volta che si ritrovano a manifestare davanti a Palazzo federale. Il loro entusiasmo è evidente, come il piacere di essere insieme a condurre questa simbolica azione d’avvio della campagna di votazione.
«Io sono contro questa riforma, ma da sola non posso reagire. Per questo bisogna essere insieme. Così ci si sente più forti», confida ad area Aferdita, una giovane commessa originaria del Kosovo, cresciuta nella regione di Zurigo. A lei il lavoro domenicale non piace. Parla per esperienza personale: durante il periodo natalizio ha dovuto lavorare due domeniche di seguito. «Sei giorni di lavoro bastano», ammettono praticamente all’unisono le donne che avviciniamo.
Alcune di loro hanno fatto acquisti la domenica. Ma hanno comprato solo il pane o il latte nel negozio di una stazione di benzina quando proprio non potevano farne a meno. Sono convinte che questa modifica di legge è ben altro e spalancherà di fatto le porte ad aperture sempre più generalizzate. «Ci sono abbastanza negozi aperti la domenica. Non è necessario aprirne ancora di più», rileva Milena, una italiana madre di due figli che abita nella regione zurighese. È evidente la sua determinazione a difendere la giornata settimanale di riposo «perché – afferma – c’è già abbastanza stress. Per una famiglia è importate avere la domenica libera». «La domenica è l’unico giorno in cui posso stare col mio fratellino e fare qualcosa con lui», le fa eco Aferdita.
«Non penso che la gente sia a favore di questa riforma», dice Theresa, una commessa bernese della Coop. «Già adesso c’è gente che si meraviglia di quanto lavoro e pensano che ho diritto a questa giornata di riposo». Non è nemmeno convinta che un’apertura prolungata dei negozi porti ad un aumento dei posti di lavoro. «Non ci saranno più posti di lavoro, ma più pressione sulle persone che lavorano e più tecnologia», rileva ricordando che ormai il mestiere della cassiera può facilmente essere sostituito con casse elettroniche, dove è il cliente a svolgere tutte le operazioni per il pagamento della merce. Negli Stati Uniti, dove molti negozi sono aperti 24 ore su 24, è sempre più normale comprare in questo modo in un grande supermercato.
Margrit è una commessa bernese della Migros, che si sta lentamente avvicinando all’età del pensionamento. Lei sposta l’attenzione su un altro problema. «I negozi devono essere riforniti e questo significa che ci saranno più camion sulle strade anche la domenica», si lamenta motivando il suo no alla modifica di legge. Lei ha i figli grandi e lavora il sabato, ma molte sue colleghe vogliono essere libere il sabato per poter stare con la famiglia e non vogliono che la domenica diventi un giorno di lavoro come tutti gli altri. «Se non c’è più tempo per stare insieme questo è triste», rileva convinta che comunque la gente non può comprare di più di quello che già acquista.
«Noi non siamo americani. Siamo europei. Noi abbiamo la nostra cultura e dobbiamo esserne fieri e non copiare sempre gli americani, perché non tutto quello che è americano è speciale», le fa eco Murille, una signora di Losanna che ha lavorato come commessa in un negozio di abbigliamento. Se si va nella direzione proposta dalla riforma si rischia che col tempo «nessuno abbia più libero la domenica», rileva. «Chi si occupa dei nostri figli quando andiamo a lavorare?», si chiede preoccupata. È quindi giunta alla conclusione che «non è possibile che questa riforma passi».
«Noi faremo di tutto perché questa riforma non passi. Le stazioni ferroviarie sono solo l’inizio. Poi ci sarà un effetto a catena», sottolinea Andi Rieger, segretario sindacale di Unia che sta preparando la campagna in vista della votazione di novembre. La battaglia si preannuncia difficile. Sabato scorso il Partito democratico cristiano ha deciso di sostenere la riforma. Tra una settimana sarà la volta dei delegati del Partito socialista svizzero che si incontreranno a Rapperswil a decidere sulla parola d’ordine. Gli occhi adesso sono puntati su di loro. |