Domande scomode, insulti facili

È sufficiente ascoltare il suo messaggio ufficiale sulla votazione popolare di questo fine settimana per sapere cosa pensa realmente il ministro della sanità Pascal Couchepin della medicina complementare. Costretto per dovere istituzionale a difendere il controprogetto deciso dal parlamento (che prevede di iscrivere nella Costituzione l'obbligo per Confederazione e Cantoni di prendere in considerazione questo metodo terapeutico alternativo), il consigliere federale vallesano usa la stessa tecnica dell'ex ministro della giustizia Christoph Blocher: nella forma difende la posizione ufficiale del governo (favorevole, perché la legge non gli consente più di contraddire il Parlamento) ma nella sostanza fa il gioco degli avversari, affermando per esempio che il testo in esame «non differisce molto» dall'iniziativa popolare che lo ha originato o dando un inusuale spazio agli argomenti (lui li chiama «i dubbi» o «le perplessità») degli avversari.
Il ministro della sanità, che nel 2005 garantì indirettamente la riuscita della citata iniziativa popolare stralciando cinque medicine complementari dalla lista delle prestazioni rimborsate dall'assicurazione malattia obbligatoria, ha più volte dato segni di nervosismo (anche durante i dibattiti parlamentari) quando si è trovato ad affrontare la questione, ma ha sempre mantenuto un minimo di autocontrollo. Autocontrollo che ha invece perso in occasione di una recente intervista rilasciata alla collega della Radiotelevisione della Svizzera italiana (Rsi) Serena Tinari, il cui unico torto è stato quello di essersi comportata come una professionista seria e non servile.
L'intervistatrice si è permessa di ricordare al ministro che nel 2005 una commissione di esperti incaricata dalla Confederazione di valutare l'efficacia di cinque metodi di medicina alternativa giunse alla conclusione che tre di essi meritassero di essere riconosciuti dall'assicurazione malattie di base, ma che un mese più tardi, nel rapporto finale degli esperti, di questa esplicita raccomandazione non c'era traccia. Anche se il contenuto del Rapporto era rimasto lo stesso. Couchepin avrebbe insomma fatto pressioni politiche (dirette o indirette) e danneggiato così un lavoro di carattere scientifico, come testimoniato anche nel servizio di Serena Tinari e Harry Haener (trasmesso da Falò sulla Rsi) da diversi membri del gruppo di esperti, i quali denunciano anche tutta una serie di ingerenze del dipartimento di Couchepin volte ad ostacolare il loro lavoro.
Di fronte alle contestazioni della giornalista, il ministro ha dapprima risposto che si tratta di «una leggenda che gira da qualche anno» e ribadito che la sua decisione del 2005 poggiava su valutazioni di carattere scientifico. Ma Serena Tinari gli ha più volte ricordato le dichiarazioni di diversi partecipanti al Programma di valutazione della medicina complementare (Pek, costato sei milioni di franchi) che smentiscono questa versione dei fatti. Ad un certo punto Couchepin ha perso le staffe e ha interrotto l'intervista: «Mi ha dapprima cacciata come un cane dal suo ufficio dopo soli quindici minuti e in seguito, mentre incassavo gli insulti del suo portavoce (che mi accusava di fare del "giornalismo spazzatura"), si è rivolto nuovamente a me urlando: "È scandaloso che una giornalista come lei venga pagata con il denaro pubblico". Anche se alla fine abbiamo fatto pace e ci siamo stretti la mano, non ho potuto fare a meno di fargli presente che un gentiluomo non si comporta così, né con un giornalista né con una donna», racconta Serena Tinari, a cui chiediamo un'interpretazione del comportamento di Couchepin: «Sin dall'inizio dell'intervista il consigliere federale e il suo staff mi sono parsi totalmente impreparati sulle domande (compresa quella "incriminata") che avevo inviato loro due giorni prima. Da lì la situazione è andata peggiorando e Couchepin, una volta capito che le cose si mettevano male, anziché chiedere una sospensione dell'intervista per chiarirsi le idee mi ha trattata in quel modo e ha interrotto il confronto». «La mia impressione – conclude la giornalista – è che Couchepin non abbia letto il rapporto finale Pek e che pertanto sia stato forse malconsigliato. L'inchiesta che ho realizzato per Falò ha mostrato che la sua decisione non si é fondata sul parere degli esperti - almeno, non sul parere del Gruppo di ricerca pagato dalla Confederazione sei milioni di franchi".   

Pubblicato il

15.05.2009 02:00
Claudio Carrer