Diversi ma uniti

Si è conclusa, lunedì scorso, la terza edizione del Forum sociale mondiale di Porto Alegre (Fsm). Con un bilancio di meno di 5 milioni di franchi – un terzo di quello speso a Davos per la sola sicurezza – il Fsm ha riunito per 5 giorni quasi 100 mila partecipanti brasiliani e stranieri. I 30 mila delegati di 5 mila organizzazioni provenivano da 126 nazioni e hanno animato mille e 700 attività di varia natura. Come l’inaugurazione che aveva mobilitato migliaia di persone, anche la chiusura del forum è stata animata da un’altrettanta imponente manifestazione per le strade di Porto Alegre per denunciare il neo-liberismo di stampo latino americano: l’Alca (Accordo di libero commercio delle Americhe). La notte del 24 gennaio, un’altra immensa mobilitazione all’Anfiteatro del Sole, è stata salutata la presenza del presidente brasiliano Lula da Silva. Malgrado le critiche per la sua presenza al Forum economico mondiale di Davos, la maggioranza dei partecipanti ha voluto festeggiare l’operaio metallurgico divenuto presidente. Dopo tre anni, il forum di Porto Alegre è diventato l’appuntamento planetario, il più grande della storia contemporanea, in favore di un’altra globalizzazione. Questa riunione si profila come uno spazio di riflessione e di dibattito il più aperto e pluralistico possibile, e che cerca di raggruppare tutti coloro che nel mondo intero credono che non solo “un altro mondo è possibile”, ma è necessario e urgente. Attualmente due realtà distinte e opposte, due concezioni differenti di comprendere la democrazia e la partecipazione civile, si affrontano e si confrontano: la festa di Porto Alegre e la messa nera di Davos. Al carnevale esplosivo di questo terzo Forum sociale mondiale si è opposta, a più di 10 mila chilometri di distanza, la militarizzazione inimmaginabile di un Centro congressi assediato e chiuso su se stesso: la “paranoia” elvetica contro la dolce “follia” brasiliana. Ma al di là della comparazione tra i due eventi che esprimono due forme contrarie di visione del mondo, bisogna anche porsi la domanda: cosa ha portato Porto Alegre al dibattito in atto? Nel corso di questa terza edizione, il Fsm ha continuato a dimostrare ampiezza di vedute e un’unità nella diversità; si è rafforzato come spazio di dibattito ed è diventato un punto di riferimento indispensabile per tutti coloro che non credono all’egemonia planetaria delle multinazionali, delle istituzioni finanziarie, della follia della guerra e dei più ricchi. Ma sarebbe falso pensare che il Fsm non sia soggetto a delle contraddizioni e a obiettivi ancora più ambiziosi. Se la diversità è un punto di forza di Porto Alegre, è vero anche che quest’ampiezza di vedute frena delle prese di posizioni più decise: allargare per allargare non ha senso. È allargare per cambiare, ciò che darà forza al processo in atto. Un’altra questione di base che dovrà risolvere il Fsm entro la prossima edizione (che si terrà in India), è quello della propria metodologia. È vero che la festa è importante e che bisogna sapere festeggiare nel miglior stile brasiliano, ma è anche vero che il pianeta ha bisogno di alternative. La ricerca di queste alternative esige teoria e analisi. E quando si festeggia, non si pensa. Il rischio è che il Fsm diventi un grande carnevale planetario alternativo. Sta agli attori presenti trovare la migliore via per preservare il Forum quale spazio di riflessione e scambio. Inoltre, deve fare un passo avanti in termini di proposte. Il bilancio partecipativo, le proposte di plebisciti internazionali contro gli accordi di libero scambio e di tribunali mondiali contro il debito del terzo mondo vanno bene, ma si tratta anche di essere capaci di fare delle proposte nuove e creative. È quando si tratta di approfondire le alternative concrete che i rischi di tensione sono anche più profondi. La diagnosi sullo stato di salute della Terra è angosciante. Ci sono sempre più persone d’accordo per salvarla, e in fretta. Il bilancio finale di Porto Alegre sarà positivo se si arriverà in India a fare un passo in più e passare dalla diagnosi alla cura.

Pubblicato il

31.01.2003 01:30
Sergio Ferrari