Nel continente africano, l’inquinamento delle città è ormai un grave problema di salute pubblica. La qualità dell’aria è peggiore a Dakar, Lagos o Accra che a Pechino. La principale causa: il diesel e la benzina ad alta concentrazione di zolfo venduti e utilizzati per il trasporto o la produzione di elettricità. A fornire queste miscele tossiche, il cui commercio in Europa sarebbe illegale, sono per la gran parte società petrolifere basate in Svizzera. Il loro modello d’affari e la loro discutibile strategia sono stati svelati in un recente rapporto pubblicato dall’Ong Public Eye (ex Dichiarazione di Berna).
Lo scorso mese di maggio, Jean-Claude Gandur, miliardario vodese proprietario del gruppo Addax&Oryx, si trova in Mali. L’occasione è l’inaugurazione di 16 nuove stazioni di benzina. In questo paese la sua società controlla il 40% dell’importazione di carburanti. Gandur dichiara ad un quotidiano tutta la sua fierezza: «Lo sviluppo della vendita al dettaglio in Mali ci permette di fornire dei carburanti d’eccellente qualità». Qualità? Eccellente? Non si direbbe proprio, stando ai test effettuati da Public Eye la concentrazione di zolfo nel diesel venduto da Addax&Orix in Mali è da record: 3.780 parti per milione (ppm), ossia 370 volte più alta di quanto consentito a Ginevra, città dove ha sede la società. È il risultato più alto riscontrato nei 47 campioni di carburante prelevati dall’Ong presso le pompe di benzina “svizzere” in otto Stati dell’Africa occidentale. Un’inchiesta durata tre anni, i cui risultati sono sconcertanti: due terzi dei carburanti analizzati presentano dei tassi di zolfo (almeno) 50 volte più elevati che quelli concessi in Europa. Senza contare, inoltre, le altre sostanze tossiche come il benzene e il manganese ritrovate ad alte concentrazioni in diversi campioni. La forte corrosività dello zolfo distrugge le tecnologie di controllo delle emissioni dei veicoli (catalizzatori e filtri), ciò che accresce il numero di particelle fini che finiscono in profondità nei polmoni, provocando cancri e malattie cardiovascolari. Perciò, in Europa e negli Stati Uniti, i limiti di concentrazione di zolfo nel carburante sono stati abbassati fortemente, rispettivamente a 10 ppm e 15 ppm. In Africa, invece, la vendita di benzina e diesel ad alto contenuto di zolfo continua a essere tollerata. Su scala continentale il limite medio si situa attorno alle 2.000 ppm, ossia 200 volte il livello europeo. «Nessuno dei carburanti che abbiamo analizzato potrebbe essere venduto in Europa» spiega ad area Marc Guéniat, uno degli autori dell’inchiesta. Tuttavia, non siamo di fronte a niente di illegale: le percentuali, infatti, rispettano le norme in vigore sul posto. In alcuni casi le concentrazioni riscontrate sono molto vicine ai limiti in vigore. «Questo non è un caso a nostro avviso – afferma Guéniat – ma illustra una strategia precisa che consiste nell’andare il più vicino possibile ai limiti d’autorizzazione». Per questo l’Ong parla di commercio illegittimo: «siamo di fronte a delle società il cui modello d’affari è quello di approfittare della debolezza degli standard in vigore nei Paesi poveri per vendere dei carburanti tossici, nocivi per l’ambiente e la salute». Le aziende si sono difese ribadendo di rispettare le norme legali e puntando il dito contro il ritardo africano. Eppure, le direttive dell’Onu indicano che quando un quadro legale in vigore in un paese in cui opera una multinazionale è insufficiente per la protezione dei diritti umani (tra i quali la salute), le imprese non possono accontentarsi di rispettare questo quadro legale ma devono andare oltre.
Un commercio irrazionale L’Africa importa il 50% dei suoi carburanti. Eppure non ne avrebbe bisogno e potrebbe sopperire autonomamente ai propri bisogni. Ma le raffinerie presenti sul continente sono insufficienti e obsolete. È così che va in scena un gigantesco paradosso: i grossi produttori africani di petrolio, come la Nigeria o l’Angola, si trovano ad importare la gran parte della benzina e del diesel di cui hanno bisogno. Il greggio estratto sul posto, considerato di ottima qualità, prende invece la strada dell’Europa e degli Stati Uniti. Da dove, una volta mischiato e trasformato in prodotti altamente tossici, ripartirà per questi Paesi. Un commercio Nord-Sud totalmente irrazionale, gestito in maniera preponderante da società basate in Svizzera come Trafigura, Vitol o Addax&Oryx. Per questi colossi del settore si tratta di un affare in tutti i sensi. Sono loro che controllano ormai l’intera filiera petrolifera. In quanto società di trading, acquistano l’oro nero dai Paesi produttori e si occupano del suo trasporto e del suo commercio. Ma non solo. I negozianti elvetici si sono ormai lanciati anche nella produzione e nello stoccaggio del carburante tossico che poi verrà inviato in Africa per essere venduto dai distributori di benzina ... controllati da queste stesse società. Secondo le statistiche dell’Onu, l’80% del petrolio importato in Africa occidentale proviene da una regione d’Europa ben precisa: la cosiddetta zona Ara, riferita ai porti di Amsterdam, Rotterdam e Anversa. È da qui che partono i tanker con gli alti tenori di zolfo, come dimostrano anche le dettagliate statistiche d’esportazione belghe e olandesi. Statistiche che illustrano come, tra il 2012 e il 2015, almeno la metà dei carghi partiti dalla zona Ara per il golfo di Guinea è stata noleggiata da società elvetiche. Gli chef della cucina tossica Il grande merito del rapporto di Public Eye, è quello di spiegare un modello d’affari fino ad oggi conosciuto solo dagli specialisti. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, diesel e benzina non escono come un prodotto finito dalle raffinerie. Essi sono il risultato di un altro processo – chiamato blending – che consiste nel mischiare diversi componenti. Non si tratta solo di una necessità tecnica, bensì di un’operazione lucrativa. L’attività di blending può essere comparata alla cucina di un ristorante: il cuoco seleziona gli alimenti a sua disposizione e li prepara a seconda della clientela. E siccome i governi dei paesi dell’Africa sono di palato poco fino, i negozianti cucinano una miscela apposita per loro. Una miscela velenosa che, negli uffici di trading, è soprannominata “qualità africana”. Gli additivi utilizzati sono spesso scarti a buon mercato dell’industria chimica e sono acquistati in grandi quantità dai traders appositamente per un mercato africano in forte espansione. Il principale luogo di produzione è nella zona di Amsterdam, dove l’esperta Marietta Harjono, ha indagato per tre anni, svelando una pratica corrente ma secretata dagli operatori. Il risultato è che oggi sappiamo che le società svizzere producono in Europa un carburante tossico, ma molto redditizio.
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