Disfunzioni postali e neoliberismo

Sabato mattina, in un importante borgo ticinese, con spiccata vocazione turistica. Mi reco all’ufficio postale ad un quarto alle 11. Siamo in cinque in attesa di essere serviti: ci sono solo due sportelli aperti ed uno di questi sarà occupato a lungo da qualcuno che sembra avere un grosso problema. Così alle 11, quando la porta viene chiusa, siamo ancora in quattro ad aspettare. Usciremo solo dopo le 11.15, tutti assieme perché nel frattempo (per evitare che magari qualche cliente si intrufoli?) la porta non verrà riaperta, se non al momento in cui saremo tutti pronti ad uscire.

 

È solo un piccolo aneddoto, ma spesso si impara di più da simili storielle che non da dotti trattati. Ne potrei raccontare però una dozzina di simili e tutti dimostrano il costante peggioramento del servizio pubblico. E poi c’è ancora chi pretende che lo spappolamento delle PTT abbia rappresentato un progresso… Quando non sanno più come dimostrarlo, di solito dicono “perché poi sono arrivati i telefonini”, come se non sarebbero arrivati lo stesso... Per quanto riguarda la posta, con tutte le varie misure di razionalizzazione si è riusciti a distruggere quel senso di appartenenza di coloro che lavorano nelle PTT e che era la garanzia dell’alta qualità del servizio prestato nel passato alla popolazione.


Oggi non solo l’invio di un espresso costa oramai quasi come un pasto in un buon ristorante, ma gli orari di apertura degli uffici postali diminuiscono costantemente, mentre altrettanto regolarmente aumentano tutte le cianfrusaglie (manca oramai solo la biancheria intima) che vi si vende. A questo punto ci sarà chi mi dirà che questi cambiamenti sono dovuti in parte alla diminuzione (anche se molto relativa!) dell’orario di lavoro degli impiegati della posta. Ammesso ma non concesso che sia così, il problema è facilmente risolvibile aumentando il numero degli impiegati, invece di applicare i funesti principi neoliberisti (diminuzione delle prestazioni, limitazione del personale etc).

 

E ciò sarebbe chiaramente possibile: nelle ultime settimane difatti ci sono stati sbandierati in gran pompa i risultati economici del “gigante giallo”, che per l’anno concluso ha guadagnato, se non mi ricordo male, quasi 700 milioni di franchi. La soluzione socialista sarebbe perciò di aumentare il personale, di trattarlo meglio e quindi di ricreare l’entusiasmo per il lavoro quotidiano che fa. Invece i metodi neoliberistici puntano solo a massimizzare il guadagno, con la speranza che ben presto anche la posta possa venir ulteriormente privatizzata, magari quotandola addirittura in borsa. Quand’ero capogruppo del Gruppo Socialista a Berna, mi ero incontrato con un paio di altri compagni con l’allora direttore della Posta, che venne accompagnato da due dei suoi principali collaboratori. Egli, almeno formalmente, continuava a dichiararsi socialista (!). Siccome questa evoluzione cominciava oramai a profilarsi, ne nacque una discussione molto accesa, che quasi quasi finì a schiaffi. Ancora oggi, ripensando a tutto quanto è capitato poi, mi rincresce di non averglieli dati.

Pubblicato il

01.04.2015 21:16
Franco Cavalli