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Discariche da cartolina
di
Serena Tinari
Per primi se ne sono accorti i pescatori del lago di Thun, nell’Oberland bernese. I coregoni, i pesci più pescati e più mangiati nella regione, dal 2000 presentano curiose malformazioni degli organi riproduttivi. Maschile e femminile insieme: la scienza li chiama ermafroditi. Le autorità locali e cantonali hanno cominciato ad indagare. Dopo cinque anni e molte ricerche, un risultato c’è: il mistero del lago di Thun ha costretto l’esercito ad un’ammissione storica. Per decenni i laghi svizzeri sono stati usati come discariche di materiale bellico scaduto o danneggiato, che giace tuttora nei fondali. Quantità enormi: 4’600 tonnellate solo nel lago di Thun. Ignote le conseguenze sull’ecosistema, coregoni compresi, una certezza c’è: bisogna recuperarle. Ma nessuno è in grado di dire con quale tecnica, né quanto costerà. Bugie di Stato Il D-day è stato il 18 novembre 2004. L’esercito svizzero ha convocato una conferenza stampa per presentare i risultati della prima ricerca approfondita sulle discariche di armi. Versione integrale di 200 pagine e una sintesi di 8 per una vicenda ai confini della realtà. Armi vecchie, danneggiate o semplicemente non più in uso sono state scaricate in quantità industriale nella maggior parte dei laghi svizzeri. Non solo in quelli di Thun, Ginevra, Zurigo e Uri – come raccontato dai giornali locali e da un reportage di Falò, che avevano preso per buoni gli spergiuri dell’esercito. Ci sono pezzi di artiglieria, munizioni e tritolo anche in decine e decine di altri laghi. Sono talmente tanti che l’esercito, a scanso di equivoci, fornisce una lista di quelli in cui non ce ne sarebbero. Il condizionale è d’obbligo, perché la maggior parte delle discariche non sono state messe a verbale: non ci sono protocolli né registri per le molte tappe di questo sfregio ambientale. Gli esperti dell’Armée hanno dovuto setacciare gli scaffali di Biblioteche e archivi militari e civili – comunali, cantonali e federali. E interrogare tutte le persone – ormai anziane – che potevano avere un ricordo, vago o dettagliato, di quella che la popolazione locale aveva finora considerato una leggenda metropolitana. Dalle pentole agli aerei Oltre che come discarica, i laghi sono stati utilizzati per decenni come poligoni di tiro: nelle acque cristalline sono precipitati proiettili, granate a mano, detonatori, bombe di grandi dimensioni e persino da aereo. A leggere l’impietoso elenco finalmente reso pubblico scopriamo che nei laghi si scaricava di tutto: dalle pentole rotte al filo spinato, passando per i filtri delle maschere anti-gas e i negativi fotografici. La parte del leone, comunque, la fanno le munizioni e l’artiglieria in genere. Un colpo duro ai laghi del canton Berna l’hanno dato gli scarti e le eccedenze delle fabbriche militari in località Thun e Altdorf, così come gli incidenti nei depositi di Dailly (1946) e Mitholz (‘47). La fine della seconda guerra mondiale è tragica per i laghi svizzeri: nel ‘48 il Consiglio federale decide di liquidare 2’500 tonnellate di munizioni e prescelti ancora una volta sono i laghi di Thun, Brienz e Uri. La spiegazione dell’Armée è di una semplicità devastante: «All’epoca non c’era ancora una “coscienza ecologica”. In tutto il mondo si scaricavano armi nelle profondità marine. La Svizzera usava i laghi». In effetti, si calcola che 100 mila tonnellate di munizioni chimiche giacciono nel Mar Baltico e vaste aree di discarica sono state individuate intorno a Giappone e Stati Uniti. Tuttora sono in corso ricerche e tentativi di bonifica nel mare di Puglia: 233 i casi di intossicazione di pescatori nelle acque antistanti Molfetta, a causa di una nave angloamericana affondata dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Nella stiva c’erano 2 mila bombe chimiche. Quando la scienza è perplessa Nella Confederazione, c’è un uomo che porta sulle spalle da quattordici anni il peso di questa vicenda. Si chiama Hans Stucki, è un chimico ed è stato il primo – e per molti anni, l’unico – a indagare. L’ho incontrato per Falò e mi ha raccontato – a telecamera spenta – di non averci dormito la notte per anni, mentre di giorno passava in rassegna archivi polverosi, commissionava analisi, intervistava nonnetti arzilli e arteriosclerotici. Non ci dormiva per la preoccupazione che un errore tanto madornale – commesso dall’esercito di cui è fedele servitore da un quarantennio – potesse devastare l’equilibrio dei laghi svizzeri. Paesaggi da cartolina con un segreto: un inquinamento invisibile, che la scienza non sa quantificare e neanche determinare. Secondo Stucki, non sono le armi a rendere ermafroditi i coregoni del lago di Thun. Ma prove scientifiche, finora, non ce ne sono. Sui pesci e sulle acque del lago sono state condotte analisi di ogni genere. Risultato: le acque sono di qualità impeccabile, microbiologicamente pura, anche grazie alle correnti e alla profondità del lago. Non sono minacciate da scarichi industriali né agricoli; non presentano tracce di ormoni né di altre sostanze inquinanti. I pesci si riproducono con percentuali di poco inferiori alla media, le carni e la muscolatura non presentano anomalie. Risultati che hanno spiazzato gli esperti, che alzano le mani e ammettono “è un mistero”. Chi rompe paga? Ma una cosa è certa: i laghi svizzeri devono essere bonificati. L’hanno deciso i cantoni, l’ha promesso l’esercito: in qualche modo, bisognerà tirare fuori le tonnellate di armi e munizioni ormai incastonate nei fondali. Sarà di sicuro costoso e soprattutto molto complicato, in particolare per i laghi più profondi – che sono anche quelli più toccati dal problema. Un’operazione epocale e anche rischiosa: le munizioni sono bagnate e tirandole fuori, nonostante lo sbalzo di pressione, non dovrebbero esplodere. Ma c’è un rischio concreto che questo accada, sostengono gli esperti, quando saranno depositate ad asciugare all’aria aperta. Nel frattempo, i pesci vengono pescati e consumati. Decine di migliaia di persone nuotano e navigano nelle meravigliose acque lacustri elvetiche. Addirittura, centinaia di migliaia di persone ne bevono le acque: il lago di Thun, per esempio, confluisce nel bacino di raccolta dell’acqua potabile del canton Berna. Ma secondo gli scienziati, non c’è nulla da fare. Finchè le ricerche non daranno risultati apprezzabili, la legge non consente di adottare misure precauzionali. box La zona più colpita risulta essere il canton Berna, grazie alla profondità dei laghi e alla quantità record di armi e proiettili scaricati sui fondali: 4’600 tonnellate nel lago di Thun e 280 in quello di Brienz. Almeno 2’800 tonnellate di materiale bellico di ogni sorta giacciono, invece, sul fondale del lago di Uri. Nel Walensee ci sono almeno una tonnellata di munizioni e 200 chili di pezzi di artiglieria. Filtri di maschere anti-gas in quantità imprecisata sono stati scaricati nel lago di Alpnacher, negativi fotografici in quello di Greifen, navi e aerei rotti nel lago Lemano. Ai Laghi del Passo del San Gottardo sono toccati in sorte filo spinato e materiali vari provenienti da alcuni depositi dell’esercito che furono investiti e parzialmente distrutti da una slavina: anche di questi, però, le quantità non sono note. Molti laghi sono stati a lungo utilizzati come poligoni di tiro. In particolare: Neuchâtel, Morat e Lago Maggiore. Quello di Costanza risulta particolarmente colpito, perché utilizzato per tali esercitazioni fino al 1999. Nei fondali dei laghi di Sihl giacciono un numero imprecisato di bombe aeree: di sicuro 32 vi furono sganciate nel 1987. Per quanto riguarda il canton Ticino (vedi anche l’articolo sotto), l’esercito «non esclude» che ci siano rifiuti bellici nei seguenti laghi: Chiera, di Giübin, della Valletta, di Mottella, Orsirora, dei Canali, della Sella, di Pecian, di Prato, d’Orsino, Ravina, Ritom, Scuro, Laghetti. Ad eccezione del laghetto del Naret (dove è confermata la presenza di pezzi di artiglieria) tutti gli altri, Ceresio incluso, sarebbero stati risparmiati. Gli esperti degli uffici cantonali rispondono all’unisono: «Non lo sappiamo. Non possiamo escluderlo. Non abbiamo elementi probanti». I coregoni del lago di Thun sono un rompicapo per gli scienziati. In pochi anni, la percentuale di ermafroditismo è arrivata al 70 per cento del pescato. Risultati che sono stati portati ai congressi internazionali: modificazioni simili, in tale quantità e qualità, non sono mai state osservate prima. I coregoni ermafroditi si sono visti a Ginevra, in Finlandia, in Canada e in Russia, ma nella misura dell’1 per cento. Le acque del lago sono di qualità impeccabile, dicono al Laboratorio cantonale per la protezione delle acque. Tanto che confluiscono nel bacino cantonale di raccolta per l’acqua potabile. Secondo il chimico cantonale, «non possiamo proibire di berla: è di ottima qualità». Stessa musica presso l’Ufficio veterinario cantonale: a rigor di legge, i coregoni di Thun sono commestibili. L’Ordinanza sull’Igiene delle carni proibisce di mangiare pesci che siano «evidentemente malati» e i coregoni «non lo sono». D’altronde dei pesci non si mangiano gli organi riproduttivi, bensì la muscolatura. Che risulta intatta. Due ipotesi allo studio. Gli scarichi del cantiere Alptransit del Lötschberg e il deposito di armi. Alptransit smentisce: «Abbiamo cantieri in tutto il paese e non ci sono mai stati problemi». L’esercito, invece, è entrato nell’apposita commissione di inchiesta. Una ricerca, finanziata con 700mila franchi, dovrà stabilire entro il 2008 cosa c’è di speciale nel lago di Thun.
Pubblicato il
04.02.05
Edizione cartacea
Anno VIII numero 5-6
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