Sarà l’onda verde a salvarci dagli insaziabili appetiti dell’industria? Il tema è la cosiddetta “obsolescenza programmata”, quella malattia dei giorni nostri in virtù della quale oggetti praticamente nuovi sono destinati a finire in discarica. E non per un capriccio, ma perché vengono costruiti in modo tale da non poter essere riparati. Uno degli esempi più classici è il ferro da stiro, un piccolo elettrodomestico che tipicamente durava generazioni. Oggi, i modelli più comuni non possono essere aggiustati, perché all’interno ci sono componenti incollati e non avvitati. Per questo, i soliti maligni hanno coniato il termine “obsolescenza programmata”: dietro alla vita breve dei prodotti ci sarebbe intenzione, sostengono, da parte dell’industria, una vera e propria strategia per far sì che consumatori e consumatrici finiscano per acquistare di continuo nuovi prodotti. Adesso è in discussione a Bruxelles una nuova misura che potrebbe però togliere il tappeto sotto ai piedi a certa industria. Si tratta del “diritto alla riparazione” e riguarda in prima battuta i dispositivi elettronici. Inserita all’interno del “green deal” per la riduzione dei rifiuti, la misura ha ricevuto l’approvazione della Commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori (Imco) del Parlamento europeo. La proposta di direttiva, consultabile in italiano al link https://tinyurl.com/yc2th47y, chiede di introdurre una serie di meccanismi per promuovere l’abitudine a riparare, invece che a buttare. Da parte dell’industria, significherebbe impegnarsi per la disponibilità di pezzi di ricambio e intervenire anche sulla progettazione per includere che in linea prioritaria, laddove si rompessero, i prodotti dovrebbero poter essere aggiustati. Per consumatori e consumatrici, fra le varie misure proposte, l’accento è sull’accesso a maggiore informazione: al momento di comprare, dovremmo essere in condizione di capire se e come un certo prodotto potrebbe in caso essere riparato e dovremmo quindi ricevere informazioni dettagliate da chi ci sta vendendo un oggetto. Dal punto di vista dei denari, sostiene la Commissione europea che il pacchetto di iniziative contribuirebbe “all’aumento dell’occupazione, degli investimenti e della concorrenza nel settore della riparazione”, di cui beneficerebbero in particolare piccole e medie imprese. Per consumatori e consumatrici, il calcolo proposto arriva a quantificare in 176,5 miliardi di euro il risparmio per i consumatori dell’Unione europea in 15 anni, pari a 25 euro per consumatore all’anno. Quanto alla grande industria, il testo sottolinea che se ci saranno perdite per le mancate vendite e la ridotta produzione di nuovi beni, “i considerevoli risparmi registrati dai consumatori saranno superiori al costo a carico delle imprese. Le perdite per le imprese si traducono pertanto in una trasformazione delle entrate per le imprese in benessere per i consumatori. È inoltre probabile che i consumatori investiranno il denaro risparmiato nell’economia generale, il che a sua volta genererà crescita e investimenti”. La strada, comunque, è ancora lunga, perché la misura dovrà essere approvata dal Parlamento europeo in plenaria e nonostante il testo trasudi ottimismo, c’è da scommetterci che per le lobby della grande industria la partita sia ancora aperta. Resterà poi da vedere in che misura l’iniziativa europea toccherà i lidi elvetici, dove d’altronde già da qualche anno si registra il successo dei “Repair Café” dove portare ad aggiustare, per cifre estremamente ragionevoli, gli oggetti più disparati.
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