Diritti troppo deboli

Il diritto del lavoro, inteso come complesso di norme legali e contrattuali a tutela individuale e collettiva di impiegati, tecnici ed operai, è uno dei temi di cui si è occupato il recente congresso dell’Unione sindacale svizzera (Uss). Di primo acchito può sorprendere che un argomento del genere, preso nella sua totalità, venga inserito in una piattaforma sindacale, poiché di solito si tratta di questo o quel singolo diritto, mentre la generalità della protezione giuridica dei lavoratori viene data per già acquisita. Questa volta l’Uss ha invece messo a punto un complesso documento che reca, oltre ad una serie di rivendicazioni puntuali, anche l’impegno a far rispettare i diritti attualmente sanciti e la richiesta di un adeguamento generale del diritto del lavoro. Alla base di questa svolta dell’Uss c’è innanzitutto la constatazione, suffragata anche da pareri di accademici (come quello espresso da Pascal Mahon, professore di diritto costituzionale all’Università di Neuchâtel), secondo cui la Svizzera, una volta pioniera nello sviluppo del diritto del lavoro, nel corso del Ventesimo secolo ha finito per occupare uno degli ultimi posti in Europa. Le ragioni di questo peggioramento sono di carattere storico, politico e sociale, e farne qui un’analisi sarebbe troppo lungo. Sta di fatto che oggi in Svizzera è possibile licenziare un lavoratore, anche quando fosse un rappresentante eletto del personale, senza motivo e senza altra eventuale sanzione che un’indennità massima di sei mesi di salario (ma in pratica i tribunali non ne accordano quasi mai più della metà). Negli ultimi tempi, poi, i piani sociali insufficienti, la diffusione del lavoro precario, le crescenti esigenze di formazione e riqualificazione, una più diffusa sensibilità verso le disparità di trattamento e gli abusi di ogni genere, hanno messo a nudo un quadro complessivo di scarsa protezione dei diritti individuali e collettivi dei lavoratori. A ciò si aggiunga che, dal secondo dopoguerra, i paesi europei circostanti hanno ammodernato le rispettive legislazioni sul lavoro, lasciando “al palo” la Svizzera, dove è soprattutto la stessa personalità del lavoratore ad apparire oggi particolarmente priva di protezione. In altre parole, la protezione della dignità dell’individuo, sancita dalla nuova Costituzione federale, non trova ancora piena applicazione sui luoghi di lavoro, dove sembra che i diritti dei cittadini (diritto all’uguaglianza, alla salute, all’istruzione, alla libera opinione, eccetera) cessino di avere validità e cadano nell’arbitrio del datore di lavoro. È evidente che, davanti ad una situazione in così forte ritardo sul progresso civile della società, occorre fare qualcosa. L’Uss se n’è resa pienamente conto, riflettendo sia sull’evoluzione subita dal lavoro (a causa di un’economia che obbedisce agli interessi a breve termine del capitale mondiale, senza riconoscere né frontiere nazionali, né strutture di produzione esistenti, né il valore professionale dei lavoratori), sia sul ruolo dello Stato che, ormai incapace di conciliare i bisogni dei lavoratori con l’accelerazione dell’economia, si limita a favorire i vantaggi concorrenziali ed a gestire la disoccupazione. Tutto questo è spiegato in modo abbastanza diffuso nell’introduzione del testo d’orientamento sui diritti dei lavoratori approvato dal congresso dell’Uss. Per il resto, il documento è diviso in due parti: la prima è dedicata ai diritti individuali, la seconda a quelli collettivi. Tra i diritti individuali, fondamentale è la protezione della personalità del lavoratore, violata sia a causa dell’aumento dell’intensità e del controllo del lavoro, che comporta una diminuzione delle “zone d’autonomia” sul posto di lavoro, sia a causa dell’imposizione di comportamenti e modi d’essere, stabiliti in base alle esigenze padronali ed alle attitudini richieste, fino a sfiorare la sottomissione ideologica. Da ciò si capisce quanto la protezione della personalità vada ben oltre i casi presi in considerazione dalle commissioni aziendali o che finiscono davanti al giudice. L’Uss fa quindi un lungo elenco di circostanze nelle quali le commissioni aziendali in primo luogo devono intervenire: dagli attentati alla salute ed all’integrità morale e professionale, al non rispetto del diritto d’opinione individuale e collettiva; dalla violazione della sfera privata (in particolare con l’imposizione di test medici) alla negazione del diritto d’essere informato ed ascoltato in merito a decisioni che toccano personalmente il lavoratore (valutazioni periodiche, trasferimento, modifica del contenuto del lavoro, ammonimento, sanzione, licenziamento). Particolare attenzione va posta al diritto di critica all’interno come all’esterno dell’azienda, e al diritto di esigere il rispetto delle norme legali e a non subire rappresaglie per averlo chiesto. Ma per sviluppare compiutamente la protezione della personalità, l’Uss formula anche precise richieste di modifica della legislazione. Altre rivendicazioni puntuali riguardano il diritto alla salute e alla sicurezza sul posto di lavoro. L’Uss s’impegna a lanciare una campagna d’informazione su questo tema e rivendica in particolare: l’intensificazione dei controlli; la riduzione della durata massima (48 ore) della settimana lavorativa; la limitazione dello straordinario e l’aumento della sua compensazione in denaro e tempo libero; l’estensione della lista delle malattie professionali; lo sviluppo della ricerca e della statistica in materia di salute e di sicurezza sul lavoro. C’è poi la questione della mancanza in Svizzera di una protezione decente in materia di perdita di guadagno in caso di malattia: l’Uss chiede che in merito venga introdotta un’assicurazione obbligatoria. Un capitolo viene dedicato all’articolo costituzionale sull’uguaglianza, che dopo vent’anni dalla sua entrata in vigore è ancora ben lontano dall’essere pienamente applicato. Tra le rivendicazioni in merito, spicca quella del diritto (di entrambi i genitori) di disporre presso il luogo di lavoro di asili nido o di doposcuola per i propri figli. Per quanto concerne la formazione continua, l’Uss chiede un congedo pagato per tutti, di 5 giorni all’anno e cumulabile su diversi anni. Infine, particolare attenzione viene dedicata al lavoro precario ed alla protezione contro i licenziamenti. Nel primo caso, l’Uss chiede che venga introdotto nella definizione del contratto individuale di lavoro l’obbligo di convenire una durata settimanale o mensile. Si dovrebbe poi abolire la possibilità di derogare, con contratto scritto, all’obbligo del datore di lavoro di pagare le ore straordinarie con una maggiorazione del 25 per cento; e, seguendo il diritto europeo, i normali contratti collettivi di lavoro dovrebbero valere anche per i lavoratori a tempo parziale. Quanto ai licenziamenti, il grado di protezione offerto dalla legge può essere illustrato da un caso così riportato nel documento dell’Uss: «È indegno e intollerabile che una persona possa essere licenziata senza colloquio né preavviso, dopo 25 anni di lavoro, perché ha subito due operazioni alla spalla. E non è purtroppo un caso isolato». La lista delle rivendicazioni sindacali tocca quindi tutti i miglioramenti possibili in quest’ambito (innanzitutto, il diritto di essere ascoltato), fino all’annullabilità del licenziamento abusivo. La seconda parte del documento riguarda i diritti collettivi dei lavoratori, che sono diritti sindacali, di rappresentanza, di negoziare e stipulare un contratto collettivo, di esigere il rispetto delle disposizioni convenute, di essere consultati in anticipo nei casi di trasferimento d’azienda e di licenziamenti collettivi (occorrerebbe introdurre da noi la direttiva europea che prevede sanzioni “effettive, proporzionate e dissuasive” in caso di violazione del diritto d’informazione), di negoziare ed ottenere congrui piani sociali. Va infine aggiunto il capitolo sul diritto allo sciopero che, secondo il presidente del Sei, Vasco Pedrina, è una possibilità non ancora sufficientemente utilizzata dai lavoratori ed è «criminalizzata dal padronato, irrispettoso di un diritto costituzionale». Molo, segretario Uss:"sui diritti dei lavoratori siamo indietro" Abbiamo rivolto qualche domanda a Romolo Molo, segretario dell’Unione sindacale svizzera (Uss). Signor Molo, perché la situazione del diritto del lavoro è peggiorata in Svizzera nel corso del secolo appena trascorso? Una delle ragioni principali è dovuta al fatto che il diritto svizzero del lavoro è stato elaborato alla fine degli anni Sessanta e votato all’inizio degli anni Settanta, in un periodo di pieno impiego in Svizzera, durante il quale l’idea di proteggere i lavoratori contro i licenziamenti era totalmente assente dalle preoccupazioni sindacali. Ora stiamo pagando duramente quell’errore, perché dopo le recessioni che si sono succedute a partire dalla metà degli anni Settanta la situazione è cambiata e ci siamo trovati indifesi. C’è poi anche una seconda ragione, legata alla politica di pace del lavoro, che secondo me ha contribuito a disarmare i lavoratori. Debolezze sindacali, quindi. Ma per quanto concerne le imprese, quali sono le cause economiche che le inducono più spesso a violare i diritti dei lavoratori? Direi che a questa evoluzione ha contribuito l’esigenza di un profitto sempre più grande. Tale esigenza è il frutto di una svolta in senso liberista, prodottasi nell’economia negli ultimi vent’anni, che ha comportato una crescente concorrenza e una forte diminuzione dei posti di lavoro. Tutto ciò ha fatto sì che poco a poco, senza che nessuno se ne rendesse ben conto, siano apparse queste conseguenze, diventate poi sempre più forti. Non si può parlare, quindi, di un disegno padronale di attacco alla salute, ma del risultato della politica di profitto sempre più elevato, di diminuzione dell’occupazione e di aumento delle cadenze, del ritmo del lavoro. In questo quadro, qual è l’importanza dei piani sociali? I piani sociali dovrebbero essere l’“ultima ratio”, l’ultima via d’uscita. Prima, dovrebbe esserci uno sforzo per salvare i posti di lavoro e i mezzi di produzione. Quando ciò non è possibile, quando non è possibile nemmeno un riciclaggio dei lavoratori con una formazione professionale alternativa, quando non esiste più nessun’altra soluzione, allora bisogna che la legge imponga un obbligo al datore di lavoro di negoziare e anche di concludere un piano sociale. Oggi infatti esiste un obbligo di negoziare, ma non un obbligo di risultato. Ciò significa che il piano sociale dipende, in ultima analisi, dalla libera volontà del padrone. Ma dal punto di vista politico, quali strumenti ha l’Unione sindacale svizzera per imporre sia un maggiore rispetto in generale della dignità del lavoratore, sia in modo specifico i piani sociali? Per esempio, perché non lanciare un’iniziativa popolare per ancorare nella Costituzione federale un obbligo di questo genere? L’Uss ha chiesto al Consiglio federale, specificamente alla consigliera federale Metzler, d’iscrivere quest’obbligo di piano sociale nella legge. Abbiamo ricevuto una risposta positiva, nel senso che l’Ufficio federale di giustizia sta elaborando un progetto. Decideremo quindi sulla base di tale progetto: vedremo se sarà sufficiente e in quale misura potrà soddisfare le nostre richieste. Se però non sarà sufficiente, o il Parlamento non darà un seguito positivo a questa richiesta, allora sarà necessario agire sul piano dell’opinione pubblica (e la manifestazione dei lavoratori di Swissair l’anno scorso ha già posto la questione in modo chiaro) e decidere quali iniziative intraprendere. In questo sforzo per migliorare la situazione dei diritti dei lavoratori, quale utilità può dare lo sviluppo dei rapporti con l’Unione europea, in particolare un’adesione della Svizzera all’Ue? Intanto si può dire che, comunque, limitati progressi nel campo del diritto del lavoro in Svizzera sono stati il frutto dell’adeguamento alla legislazione comunitaria. Per quanto riguarda in modo specifico i piani sociali, il diritto comunitario non ha esigenze precise di contenuto. Però il diritto dei paesi che ci circondano (di Francia e Germania in particolare, ma anche dell’Italia per quanto concerne le imprese che impiegano un certo numero di lavoratori) è sicuramente all’avanguardia e rappresenta per noi un esempio da seguire. Ma anche in relazione ai diritti del lavoro in generale e alla protezione individuale dal licenziamento, siamo purtroppo il fanalino di coda tra i paesi che ci circondano. Un’eventuale adesione all’Ue risolverebbe dunque questi problemi? Danni comunque non ce ne farebbe.

Pubblicato il

01.11.2002 02:00
Silvano De Pietro