A tre settimane dalla votazione, l’iniziativa “per cure infermieristiche forti” ha il vento in poppa: secondo i sondaggi, gode di un consenso che sfiora l’80 per cento, i contrari sono solo il 15 per cento e gli indecisi il 7. E il pronostico – sostengono gli esperti – non ha quasi possibilità di essere smentito alle urne. È una situazione più unica che rara per un’iniziativa popolare, oltretutto di marca sindacale, e che sul fondo si spiega facilmente: la popolazione svizzera è pienamente cosciente del problema della carenza di personale nel nostro sistema sanitario, della necessità di valorizzarne le professioni e di migliorare le condizioni d’impiego e di lavoro. In piena sintonia con le 5.000 assistenti di cura, segretarie di studio medico, laboratoriste, amministrativi, addetti alle pulizie, operatrici e operatori sanitari, levatrici e naturalmente infermiere e infermieri che sabato scorso erano in piazza a Berna per ribadire le loro rivendicazioni.
In gioco non vi sono gli interessi di una categoria professionale. Ma la qualità delle cure in Svizzera e la sicurezza dei pazienti, minacciate da una permanente e diffusa carenza di personale (11.717 posti vacanti nel settore delle cure nel terzo trimestre 2021 e un fabbisogno di altre 70.000 da qui al 2029), da condizioni e ritmi di lavoro che producono un eccesso di stress e malattie e, come conseguenza, l’abbandono prematuro della professione da parte del 40 per cento dei curanti, oltretutto nel pieno della vita attiva (un terzo di loro ha meno di 35 anni). Una minaccia destinata ad aggravarsi con il costante invecchiamento della popolazione (nel 2030 gli ultra 65enni saranno il doppio di quanti erano nel 2014) e l’inevitabile aumento dei malati cronici bisognosi di assistenza e cure, negli ospedali, nelle case anziani o a domicilio. La situazione è critica e viene denunciata dai sindacati e dalle associazioni del personale da anni. Poi, ad aprire gli occhi ai più, è arrivata la pandemia, con i reparti di cure intensive vicini al collasso, gli ospedali incapaci di trattare una parte dei malati e il personale allo stremo delle forze. E pensare che ci è andata persino bene. Se nella fase più acuta della primavera del 2020 le autorità dei Paesi vicini avessero precettato il personale frontaliere attivo nelle strutture sanitarie svizzere (come avrebbero avuto diritto di fare in quella situazione straordinaria), sarebbe infatti stata una catastrofe: molti nostri ospedali si sarebbero fermati, non sarebbero semplicemente più stati in grado di curare i malati, quelli di Covid come quelli di tumore, gli infartuati, le vittime di incidenti e tutti gli altri. Le possibili risposte atte a evitare uno scenario simile e a garantire la qualità delle cure non sono molte e sono quelle contenute nell’iniziativa in votazione il 28 novembre: investire nella formazione, rendere la professione più attrattiva migliorando le condizioni d’impiego e di lavoro e assicurando il sufficiente finanziamento affinché le strutture si dotino dell’effettivo necessario a garantire a tutti e in ogni reparto cure di qualità. Una proposta talmente di buon senso da non avere quasi avversari (perlomeno dichiarati), se non un comitato di oppositori che riunisce singoli politici della destra e del centro e che usa toni assai moderati del tipo “l’iniziativa è giustificata ma va un po’ troppo in là”. Se denota persino un certo imbarazzo e poca voglia di condurre la campagna: si pensi che la Rsi non è riuscita a trovare nell’intera Svizzera italiana qualcuno che si esponesse in un dibattito televisivo apertamente per il no e si è dovuta accontentare di un politico leghista dichiaratosi «per un sì critico». Del resto, i sondaggi confermano in modo inequivocabile che è oggettivamente poco popolare contrastare l’iniziativa sulle cure: si pensi che soltanto in tre gruppi di popolazione analizzati (simpatizzanti dell’Udc e del Plr e persone con un reddito famigliare superiore a 11 mila franchi al mese) si trova più di 1 persona su 5 contraria. Persino le organizzzazioni padronali sono silenti dopo aver, durante l’esame parlamentare, contrastato con veemenza sia l’iniziativa sia il controprogetto elaborato dalle Camere (peraltro assolutamente insufficiente). «La sanità non ha bisogno di uno statuto speciale», scriveva (nel 2019) economiesuisse. Probabilmente torneranno all’attacco insieme agli alleati della destra quando il Parlamento, in caso di accettazione dell’iniziativa, sarà chiamato ad approvare la legge di attuazione con cui potranno tentare di annacquare il contenuto dell’iniziativa e di allungare i tempi. Ma il tempo stringe per salvare il nostro sistema sanitario: dopo aver vinto, auspichiamo, la partita del 28 novembre, ne inizierà dunque un’altra. Altrettanto importante.
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