Nei giorni scorsi è stato sollevato l’allarme di un diffuso dumping salariale praticato da quando è stata completamente liberalizzata la circolazione delle persone con l’Unione europea, cioè dal 1. giugno scorso. Citando fonti locali, la “Sonntagszeitung” ha parlato di situazioni critiche a Basilea Campagna, dove un terzo delle ditte controllate (una cinquantina) verserebbe salari più bassi di quelli in uso nella regione. A Zurigo i casi denunciati sarebbero circa 2 mila al mese. A Berna il 95 per cento della manodopera proveniente dall’Ue sarebbe pagata sotto i livelli previsti dai contratti collettivi. In Ticino i lavoratori di ditte straniere figurano come indipendenti, e in quanto tali non soggetti a contratti e tariffe. Nei cantoni di Soletta e di Argovia addirittura non verrebbe fatto alcun controllo. Il segretario centrale dell’Unione sindacale svizzera, Serge Gaillard, ha dichiarato che «in molti cantoni le autorità dormono», mentre il Segretariato di stato per l’economia (Seco) dice che la situazione non è drammatica. Ne abbiamo parlato con Renzo Ambrosetti, presidente del sindacato Flmo. In qualità di membro della Commissione tripartita nazionale dovrebbe avere una più precisa visione globale della situazione. Renzo Ambrosetti, ritiene l’allarme relativo al dumping salariale giustificato? La situazione è davvero così grave? Certo. E ci preoccupa. Abbiamo anche noi segnali che, per esempio, nella regione di Basilea vengono assunte in settori dell’artigianato persone provenienti dalla Germania, i cui salari sono sì conformi ai minimi contrattuali, perché il contratto collettivo è dichiarato obbligatorio, ma spesso inferiori ai salari praticati nella regione. Ci sono quindi datori di lavoro che assumono personale nuovo, e lasciano a casa quello indigeno che ha salari più alti. Altro fenomeno che preoccupa è quello degli indipendenti, particolarmente presente in Ticino. Abbiamo fatto una verifica sull’arco di tre mesi: ci sono state più di trecento notifiche di lavoratori distaccati; il nostro ispettore ha effettuato 180 controlli, dalla metà dei quali è risultato che i lavoratori presenti sul territorio cantonale erano degli indipendenti, che come tali sfuggono alle disposizioni delle misure d’accompagnamento. Inoltre c’è il fenomeno più generale delle aziende di collocamento, che sono sempre più attive nel collocare manodopera estera». Una portavoce del Segretariato dell’economia (Seco) ha dichiarato che le cifre a disposizione «non mostrano una situazione drammatica»; i cantoni hanno l’obbligo di annunciare gli abusi al Seco e le prime segnalazioni sono arrivate soltanto adesso da Basilea Campagna. Al di là di quello che dice il Seco, che magari fa finta che le cose non siano così gravi come in realtà sono, credo che manchino ancora dei dati statistici, proprio quelli che aspetta il Seco. Ma noi che siamo sul terreno ci rendiamo conto che la situazione è completamente diversa. Nell’articolo pubblicato dal domenicale “Sonntagszeitung” si parla addirittura di assenza totale di controlli nei cantoni di Soletta e Argovia. È possibile che ci siano cantoni dove non si faccia ancora nessun controllo? Non so bene quale sia la fonte di questa notizia, ma può darsi benissimo che sia così. Quel che è certo, è che i controlli avvengono con una certa regolarità e professionalità in quei cantoni dove ci sono strutture paritetiche operanti, quindi particolarmente in Ticino e nella Romandia, ma anche in alcuni cantoni della Svizzera tedesca. Dove questa struttura non esiste i controlli diventano molto più labili. E poi non dimentichiamo che in taluni cantoni la messa in opera della commissione tripartita è stata dilazionata all’inverosimile, ed in qualche caso non è ancora stata neanche formalmente costituita, anche se i bilaterali sono entrati in vigore al primo di giugno. Il direttore della Camera di commercio di Basilea Campagna e consigliere nazionale radicale, Hans-Rudolf Gysin, ha detto di credere che i controlli sistematici col tempo diventeranno superflui, e di sperare che abbiano l’effetto di fare spargere la voce all’estero che in Svizzera si controlla sul serio. Lei condivide questa visione? Che i controlli abbiano un effetto dissuasivo e segnalino che la Svizzera non è una riserva di caccia libera, è sicuramente vero. Che poi i controlli in futuro non saranno più necessari, è un’opinione su cui non sono d’accordo. Credo invece che dovranno ancora essere tenuti in considerazione ed intensificati, specialmente se andiamo verso l’allargamento della libera circolazione delle persone ai paesi dell’Est. Dobbiamo rifletterci seriamente: anche nel nostro ambito ci sono posizioni di chiusura nei confronti di questo allargamento. Un certo padronato dice, per esempio, che non è necessario costituire uno stato poliziesco. Come sindacati dovremo allora valutare a fondo se è il caso di dire di sì a questo allargamento, perché rischiamo davvero di tirarci la zappa sui piedi, vista che dietro questa apertura potrebbe esserci l’interesse specifico di certo padronato di beneficiare di manodopera a buon mercato. Pare che molte ditte germaniche preferiscano pagare le multe piuttosto che aumentare i salari. Qual è il problema? Le multe sono troppo basse o ci vogliono più ispettori? Intanto sono le autorità cantonali o federali che danno le multe, che comunque secondo me sono troppo basse. Quindi, bisogna veramente fare in modo che vi sia una maggiore penalizzazione dei trasgressori; ed occorre impedire a ditte che sono state prese con le mani nel sacco di operare ancora sul territorio nazionale: questo avrebbe un effetto dissuasivo forse maggiore delle stesse multe. D’altra parte, per dare le multe ci vogliono più ispettori. Ed è quello che noi chiediamo con insistenza. Ancora Gysin dice di credere di più a «soluzioni tra partner sociali che ad interventi statali». Lei come commenta quest’affermazione? I partner sociali possono agire laddove ci sono i contratti collettivi, in particolare quelli aventi forza obbligatoria. Noi siamo dell’avviso che dovremmo poter agire anche laddove ci sono contratti collettivi privi di forza obbligatoria, proprio per aumentare la possibilità di controllo. Ma c’è poi tutta una serie di professioni che non sono regolate da contratti collettivi e che sfuggono quindi ad ogni controllo effettuato dai partner sociali. Per questo i controlli sono demandati alle commissioni paritetiche, alle autorità, agli ispettorati del lavoro.

Pubblicato il 

24.09.04

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