Il sistema dell’apprendistato a cavallo tra azienda e scuola ha dimostrato per molti anni tutta la sua efficacia nella trasmissione delle competenze e delle conoscenze professionali esistenti nel mondo del lavoro, contribuendo in modo importante al successo del sistema economico elvetico.


Credo anche che il sistema apprendistato abbia contribuito per molti anni a tenere viva e a dare concretezza e coscienza alla responsabilità sociale delle aziende in Svizzera. Vedere infatti il proprio apprendista ottenere un risultato positivo o molto positivo agli esami finali era (e in molti casi lo è ancora) motivo di orgoglio e, nel contempo, una certificazione di qualità per tutta l’azienda.


Anche per questo, insieme a diversi altri compagne e compagni, abbiamo lavorato e altri, dopo noi, continuano a lavorare con grande convinzione nella formazione professionale e con gli apprendisti.
Un lavoro non sempre facile perché non sempre e non tutto va nella direzione sopra ricordata e, in quel caso, i confronti possono diventare anche molto duri, sia con le aziende che con le istituzioni.


Da sempre, però, è stato evidente a tutti noi come fosse importante rafforzare, rispetto al modello esistente, le competenze “di base” o meglio dette teoriche delle e degli apprendisti per fornir loro gli strumenti necessari per essere pronti a divenire più attivamente protagonisti della loro vita professionale, coscienti dei loro diritti (e anche ovviamente dei loro doveri) e di come difenderli in caso di necessità, delle loro potenzialità, dell’esistenza di percorsi di crescita formativa a loro disposizione, ecc.
Purtroppo su questo, da parte delle associazioni professionali (a cui è dato il potere di decidere), ma anche da parte, in alcuni casi, delle istituzioni formative, c’è sempre stata al massimo una paternalistica pacca sulla spalla senza che, a questa, seguissero poi i necessari cambiamenti.
Oggi, però, credo importante rievocare tutte queste richieste perché ritengo davvero che questo tema sia divenuto di urgente e radicale importanza.
E’ infatti sotto gli occhi di tutti come la pandemia, sostanzialmente nel tempo di un battito di ciglia, ci abbia insegnato come tutto possa cambiare radicalmente attorno a noi, sconvolgendo le nostre vite, certo, ma anche i modi di produrre, distribuire, consumare, ecc.


Nel contempo sappiamo ormai che in pochi, probabilmente in pochissimi anni e forse, così come ci ha insegnato la pandemia, in alcuni casi quasi da un giorno all’altro, il mondo del lavoro cambierà radicalmente con la digitalizzazione, ma non solo, proponendo nuove professioni che oggi non esistono ancora, ma contemporaneamente introducendo modalità, organizzazioni e processi lavorativi molto diversi dagli attuali anche nelle professioni oggi esistenti.


Garantire quindi alle nostre apprendiste e ai nostri apprendisti una formazione, che come semplificazione, definisco “teorica”, molto più forte e competente dell’attuale, in queste prospettive, non è davvero più solo la proposta di chi voleva mettere nelle mani delle lavoratrici e dei lavoratori più capacità contrattuale, ma diventa una necessità per la struttura economica e le aziende stesse per riuscire a continuare a formare, e quindi a poter contare su persone qualificate per le loro attività produttive.
Lasciare però nelle sole mani delle associazioni professionali queste riflessioni e la costruzione di queste trasformazioni sarebbe un errore grave perché a tutti questi processi, sappiamo bene, si accompagnerà una espulsione dal mondo del lavoro di molte e molti lavoratori, in particolare tra coloro che svolgono un lavoro ripetitivo e non qualificato.


In scienza e coscienza spetta quindi alla sinistra e al sindacato proporre con grande urgenza una riflessione articolata e competente per rispondere con soluzioni forti e percorribili ai cambiamenti in atto.

 

Pubblicato il 

08.03.21
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