"Il cuore e la ragione, non le ruspe", titolavamo nel settembre del ’99 un articolo del nostro dossier dedicato alla salvaguardia del Grand Hôtel Palace, un importante elemento della memoria storica e architettonica della città di Lugano. Insieme alla Stan (Società ticinese per l’arte e la natura) — che per dieci anni ha lottato per la sua preservazione e recupero — all’Associazione Pro Palace, nata nel ’99 con lo stesso scopo, noi di "area" ci siamo battuti contro una logica speculativa (supportata allora da un’aggregazione politica luganese che vedeva tra le sue fila rappresentanti della Lega dei ticinesi, Partito liberale radicale e qualcuno del Partito popolare democratico) che cancella i segni della cultura riducendo una città ad una piazza d’affari. Una logica questa che aveva scandalizzato l’opinione pubblica confederata che si chiedeva come potesse essere possibile che un manipolo di politici fosse disposto con tanta disinvoltura a ridurre in un cumulo di macerie un gioiello del patrimonio architettonico svizzero. Forse a qualcuno (o a molti?) sembravamo voci che gridavano nel deserto, don chischiotte che lottavano contro i mulini a vento. Ma ora possiamo dire che lottare ha portato i suoi frutti. Alla fine il cuore e la ragione hanno prevalso sulle ruspe. E ciò che allora sembrava impossibile, oggi è diventato possibile. Il Palace, fino a qualche anno fa destinato all’eutanasia, presto — almeno questo quanto promesso dal sindaco Giorgio Giudici — sarà rianimato o meglio avrà una vita nuova. Noi speriamo che quel monumento storico, che porta fra le sue mura segni preziosi di epoche passate, diventi il simbolo del rispetto che un popolo civile deve alla ricchezza del suo patrimonio architettonico-culturale e naturale. E il simbolo di una visione politica che si batte per la supremazia degli interessi collettivi e pubblici su quelli particolari e privati. Un rispetto che pare funzionare ad intermittenza quando, da una parte, si risparmia un monumento architettonico, mentre dall’altra — è storia recente — si lascia che sia fatto scempio di un patrimonio naturale, il bosco di Ruvigliana, sul Monte Brè. Insomma le ruspe contro la distruzione dei beni culturali e ambientali non sono state fermate: sono cambiati gli obiettivi da demolire.
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