Dieci rossi a Hollywood

È risaputo che pure Hollywood pagò il suo pedaggio all’isteria anticomunista scatenata negli Stati Uniti dal senatore Joseph McCarthy nel 1947. Molto meno noto oggi è che ci fu anche chi ad Hollywood pagò a caro prezzo la sua ostinazione nel difendere la libertà d’espressione e d’opinione in uno dei nodi più sensibili al mondo per questa libertà. Particolare clamore all’epoca suscitò il caso dei cosiddetti «Dieci di Hollywood», personaggi per lo più operanti nell’ombra dell’industria cinematografica ma divenuti un simbolo della resistenza morale alla paranoia collettiva. Alle prese col maccarthysmo Hollywood si spaccò. Alcuni furono entusiasti sostenitori delle purghe anticomuniste, come l’incarnazione stessa del mito Usa, John Wayne. Altri resistettero in un primo tempo ma poi finirono col cedere e collaborarono fino in fondo con la Commissione sulle attività antiamericane, denunciando i colleghi per garantirsi un posto nell’industria del cinema: il caso più noto fu quello del regista Elia Kazan. Ma ci fu anche chi venne distrutto professionalemente e moralmente, come John Garfield, e chi per non scendere a infimi compromessi espatriò: fra di essi Joseph Losey e Jules Dassin. Altri ancora poterono operare una sorta di opposizione interna al sistema, come John Huston, Billy Wilder, Humprey Bogart e persino il conservatore John Ford. Il caso dei «Dieci di Hollywood» accadde nel 1949. Convocati per deporre di fronte alla Commissione sulle attività antiamericane, si rifiutarono in blocco di andarci e furono condannati a delle pene detentive da scontare comprese fra i 6 mesi e un anno di carcere. In realtà erano considerati tutti dei comunisti, e la loro convocazione di fronte alla Commissione appariva come una trappola. La severità con cui furono trattati dimostra che il caso fu montato perché servisse da esempio a tutta l’industria cinematografica. I «Dieci di Hollywood» erano John Howard Lawson, Dalton Trumbo, Albert Maltz, Alvah Bessie, Samuel Ornitz, Herbert Biberman, Adrian Scott, Ring Lardner e Lester Cole. I loro nomi sono soltanto nove perché il decimo, Edward Dmytryk, si dissociò quasi subito collaborando con la Commissione alla stregua di Kazan. Su tutti loro fu applicato un severo divieto di lavoro a Hollywood per periodi più o meno lunghi: nel caso di Maltz furono vent’anni. Ma siccome i padroni dell’industria cinematografica pensavano più ad assicurarsi il lavoro di chi lo sapeva fare che non alla verginità ideologica degli Stati Uniti, alcuni poterono tornare ad Hollywood sotto pseudonimo. Il caso più eclatante fu quello dello sceneggiatore e regista Trumbo, che firmandosi Robert Rich vinse un Oscar per la sceneggiatura con «The Brave One» (La più grande corrida), diretto nel 1956 da Irving Rapper.

Pubblicato il

03.05.2002 15:00
Gianfranco Helbling