Diario di viaggio dalla Cina, paese né capitalista né socialista

Scrivo da New York, a metà di un viaggio professionale di tre settimane che mi ha dapprima portato in Cina e proseguirà verso l’Havana e poi l’America Latina.


Non è la prima volta che vado in Cina, ma ogni volta mi impressiona profondamente. Vi ero stato nel 1989, poche settimane prima dei fatti di Tienanmen. Questa è la sesta volta negli ultimi dieci anni e ho così potuto rendermi conto della velocità incredibile di questo sviluppo gigantesco. Stavolta volo su Hong Kong, che se nominalmente fa parte della Cina, in pratica (e anche politicamente) è ancora separata, tant’è vero che i controlli doganali cinesi avvengono all’uscita di Hong Kong. Arrivo in auto a Shenzhen, dove sono invitato a parlare a una riunione sui linfomi maligni. Trent’anni fa Shenzhen era un villaggio di pescatori di poche migliaia di abitanti: oggi è una megalopoli di sei milioni, centro della zona economica “speciale” più attiva del paese. Per il suo regime economico speciale, ma anche per la vicinanza di Hong Kong (ad un tiro di schioppo) è considerata la zona più liberista o “riformista” che dir si voglia. Il viaggio continua su Guangzhou, Zhengzhou capitale della provincia di Henan, (Cina centrale: città di quasi otto milioni di abitanti) e infine Pechino. Insisto per viaggiare soprattutto in treno in linee superveloci, con una media di 300 km/h, con stazioni organizzate come gli aeroporti.

Ciò che più impressiona è l’incredibile attività edilizia. I grattacieli che crescono come funghi a dozzine, ovunque autostrade e linee ferroviarie in costruzione. Ho letto che attualmente in Cina ci sono il doppio delle gru di quelle esistenti in tutto il resto del mondo. Ma anche sul piano socio-politico le cose stanno cambiando. Lo spaventoso sfruttamento delle centinaia di milioni di persone risucchiate dalle campagne verso le città nella prima fase di questo sviluppo tumultuoso sta ora diminuendo, anche grazie a molte lotte sociali e scioperi anche parecchio violenti. I salari minimi sono aumentati di 4 volte in pochi anni, la rete di protezione sociale viene costantemente allargata, il servizio sanitario viene ora in gran parte rinazionalizzato, dopo esser stato brutalmente privatizzato. Dal China Daily leggo del congresso dei sindacati ufficiali, invitati dal primo ministro a essere più coraggiosi.
Dopo la recente pubblicazione dell’Oms sul rischio cancerogeno dell’inquinamento atmosferico, le grandi megalopoli stanno prendendo misure draconiane. Sono consentite solo motociclette elettriche, e presto seguiranno misure molto restrittive sul traffico privato, mentre si sta forzando quello con i mezzi pubblici. Tra i giovani con cui ho potuto parlare, c’è chi vorrebbe andare a Hong Kong, c’è chi invece vorrebbe che al potere ci fosse Bo Xilai. Secondo loro è questa l’opinione prevalente dell’opinione pubblica. A Bo Xilai, ex sindaco di Chongqing (metropoli di trenta milioni di abitanti nel sud-ovest della Cina) il tribunale di secondo grado ha confermato l’ergastolo comminato per affari di corruzione, legati anche alla storia oscura dell’omicidio di un uomo d’affari inglese da parte di sua moglie. Tutti in Cina pensano sia stato un regolamento di conti politico.

 

Bo Xilai era considerato l’astro nascente della politica cinese e a Chongqing aveva creato un’alternativa al modello di Shenzhen, lanciando ad esempio la costruzione di quasi un milione di alloggi popolari. Considerato un populista di sinistra, stava facendo rinverdire la tradizione Maoista, anche dal punto di vista delle manifestazioni esteriori. La lotta sulla linea politica da seguire sembra quindi ancora aperta in Cina, e credo abbia ragione Arrighi, un’economista di scuola marxista, professore a Yale e ultimamente deceduto, quando è arrivato alla conclusione che oggi la Cina non sia né socialista né capitalista ma, in uno stadio intermedio, che potrebbe ancora permetterle una svolta verso un “cammino socialista”. L’arrivo a New York, venendo da Pechino, è uno shock. Qui l’autostrada è piena di buchi, i treni sono arrugginiti, l’attesa alla dogana infinita. E anche i grattacieli di Manhattan in fondo sembrano poca cosa. Sembrerebbe che abbia avuto ragione Mao, quando diceva che tra poco avrebbe prevalso il vento dell’est.

Pubblicato il

06.11.2013 22:37
Franco Cavalli
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