Ore 7.30: l’attesa

 

«Sono molto nervosa. Questo giorno è troppo importante per il Gambia e per la sua gente». Mariam Sankanu, giornalista gambiana, è seduta nella nostra cucina e sorseggia un tè nero. Non ha molta voglia di mangiare. Al suo fianco, il collega Sanna Camara è altrettanto teso. Beve una tisana e ci mostra il suo articolo in prima pagina del quotidiano The Point: “Il D-Day per Ousman Sonko”. Oggi, la Corte penale del Tribunale penale federale (TPF) comunicherà la decisione in merito all’ex ministro dell’interno del loro paese, Ousman Sonko. L’uomo, 55 anni, è accusato dal Ministero pubblico della Confederazione (MPC) di crimini contro l’umanità.

 

Il processo si è svolto in due parti, nel gennaio e nel marzo 2024. Mariam e Sanna lo hanno seguito tutto, dall’inizio alla fine. Unici portavoce di un processo storico per il loro paese. Non potevano certo mancare la giornata decisiva, quella della lettura della sentenza. Hanno fatto di tutto per esserci: «Per noi avere seguito il processo in precedenza ed essere ancora qui oggi, in Svizzera, per rendere conto alla popolazione del Gambia della decisione presa dai giudici svizzeri è fondamentale» ci dicono all’unisono i due giornalisti. Venire in Ticino non è stato facile. Per la terza volta hanno dovuto viaggiare da Banjul a Dakar, in Senegal, dove l’ambasciata elvetica si è distinta per un eccessivo formalismo. I biglietti aerei finanziati dalla sezione svizzera di Reporters Sans Frontières (RSF) non andavano bene: l’arrivo era infatti Milano ma, per i burocrati dell’ambasciata, occorrevano dei biglietti che dimostrassero l’effettivo arrivo in Svizzera.

 

Ore 9.15: l’arrivo al tribunale

 

Arriviamo a Bellinzona sotto una pioggia battente e la prima persona che incontriamo è Reed Brody. Avvocato americano, soprannominato “il cacciatore di dittatori”, Brody e una sorta di figura mitica per chi lavora nell’ambito della giustizia internazionale. A lui si deve il processo all’ex dittatore ciadiano Hissène Habré, condannato per crimini contro l’umanità in Senegal nel 2016. Brody ha lavorato anche con le vittime di Augusto Pinochet in Cile e di Jean-Claude Duvalier ad Haiti e, negli ultimi tempi, si sta occupando di quanto avvenuto in Gambia sotto la dittatura di Yahya Jammeh, terminata nel 2017. Il suo è un viaggio fulmineo, domani ripartirà per New York. La sua presenza a Bellinzona dimostra però l’importanza della giornata: «Non potevo mancare a questo momento storico. Sonko è la persona di più alto grado ad essere giudicata in Europa secondo il principio della competenza universale».

 

È proprio in base a questo principio che i crimini di guerra e contro l’umanità possono essere perseguiti ovunque, indipendentemente dalla distanza geografica o temporale degli eventi. Certo, ci vuole un legame con la Svizzera che, in questo caso, è costituito dal fatto che Ousman Sonko, quando il regime Jammeh stava per crollare, ha chiesto asilo alla Confederazione. È in un centro richiedenti l’asilo del Canton Berna che è stato individuato nel 2017. Poi, in seguito a una denuncia penale dell’ONG TRIAL International, è stato arrestato ed è partita la lunga inchiesta sfociata nel processo di quest’anno.

 

>> ASCOLTA IL NOSTRO PODCAST: LE SPERANZE DEL GAMBIA PASSANO DA BELLINZONA

 

Fuori dal tribunale l’ambiente è diverso dal solito. Durante le lunghe giornate del processo i giornalisti presenti erano pochi. Oggi vi sono però le camere delle tv e la presenza mediatica è molto forte. Sanna e Mariam sono molto sollecitati dai giornalisti svizzeri e stranieri presenti: «Non sono abituata a questa esposizione mediatica» ci dice Mariam, a cui, anche per ragioni di sicurezza in quanto giornalista investigativa, non piace apparire pubblicamente in video e in fotografia. Parliamo brevemente con Benoit Meystre, di TRIAL International: «Dopo anni di lavoro su questo dossier a fianco delle vittime è anche per noi il giorno decisivo. Non so proprio cosa aspettarmi», ci dice senza sbilanciarsi troppo. Le vittime non sono presenti. Il viaggio dal Gambia costa troppo. C’è solo Fatoumatta Sandeng, che abita in Germania: la donna è la figlia di Solo Sandeng, un attivista politico ucciso nel 2016 sotto gli ordini di Sonko. Arriva anche l’avvocato dell’imputato, Philippe Currat, e la figlia dell’ex ministro. Le parti si salutano, il clima è cordiale. Ma dietro questa apparente tranquillità si nasconde una certa tensione: la decisione che arriverà fra qualche minuto cambierà la vita di molti.

 

Ore 11.00: il verdetto

 

I giudici entrano, il pubblico si alza.  Poi si siede. Poi cala il silenzio. Ousman Sonko è seduto di fianco all’avvocato e alla figlia, che fa parte del suo team legale. Dietro di lui due agenti della penitenziaria. Davanti una versione tascabile del corano. La decisione principale è comunicata subito dal presidente della Corte, Alberto Fabbri: Ousman Sonko è riconosciuto colpevole di crimini contro l’umanità e viene condannato a una pena detentiva di 20 anni di prigione, meno i sette che ha già scontato in carcere preventivo.

 

L’informazione principale è tradotta anche in inglese. Poi il giudice inizierà a motivarla. Un discorso di due ore, interamente in tedesco. Impossibile capire cosa viene detto sia per Sanna e Mariam, sia per l’imputato che ascolta impassibile, lo sguardo spento, forse consapevole di dover continuare la propria vita in un carcere del Canton Berna. La questione della lingua è stata uno dei punti critici dell’intero processo: «Si è svolto quasi tutto in tedesco e per noi giornalisti gambiani, così come per le vittime e anche per l’imputato è stato molto difficile. È un peccato perché questo caso riguarda il nostro paese e sarebbe stato opportuno che il tribunale garantisse una traduzione» ci dice Sanna.

 

Ore 13.00: le reazioni

 

Usciamo dal tribunale e chiediamo subito una reazione al giornalista gambiano: «È una buona decisione, ma occorrerà spiegare in Gambia come mai non è stata pronunciata una condanna a vita». La procura federale aveva chiesto l’ergastolo, ma il TPF non ha ritenuto che si tratti di un caso “particolarmente grave” di crimini contro l’umanità. Cadendo questo aspetto, la pena massima prevista dalle legge è di 20 anni. Reed Brody è raggiante. Per il cacciatore di dittatori si tratta di «un passo importante nel lungo cammino verso la giustizia per le vittime di Jammeh». La battaglia non è finita: «Si spera che il lungo braccio della legge raggiunga presto lo stesso Jammeh» esclama Brody. L’ex dittatore è per ora rifugiato in esilio in Guinea Equatoriale.

 

Sembra contento anche Cherno Marenah, l’ambasciatore del Gambia a Ginevra, sceso in Ticino per l’occasione: «In qualità di rappresentanti del governo del Gambia in Svizzera, siamo molto soddisfatti del fatto che si è trattato di un processo equo e corretto».

 

>> LEGGI L’INTERVISTA A SANNA CAMARA

 

Di tutt’altro avviso è l’avvocato Currat che ha messo l’accento su vari aspetti critici, dalla mancata traduzione in tedesco alle condizioni di detenzione. Il legale di Sonko ha già annunciato un probabile appello. È invece raggiante la procuratrice federale Sabrina Beyeler secondo cui la decisione «è un’ulteriore pietra miliare per la giustizia svizzera e importante per le vittime del Gambia che hanno compiuto notevoli sforzi per partecipare al procedimento e testimoniare». Al di là delle dichiarazioni formali, la procuratrice è visibilmente emozionata: per lei è stato il caso della vita. Soddisfatta è anche Fatoumatta Sandeng: «Sono molto felice e sollevata. La sentenza è di un’importanza fondamentale per noi vittime» ci dice sostenendo un cartellone in memoria di suo padre.

 

Ore 19.00: un po’ di pace

 

Rientrati a casa, Sanna e Mariam devono scrivere i loro articoli: «Prima di questo processo, i gambiani comuni non sentivano parlare molto di Sonko. Ma i nostri servizi da Bellinzona li hanno svegliati e interessati. Tutti aspettavano con impazienza il verdetto. E ora dobbiamo raccontare loro cosa è successo oggi» ci dice Mariam.

 

Per i due giornalisti la giornata è stata molto intensa. Non solo da un punto di vista professionale. Come altri giornalisti Sanna Camara è stato una vittima del regime di Jammeh. È stato arrestato tre volte ed ha passato gli ultimi anni della dittatura in esilio in Senegal: «Più di 100 giornalisti, me compreso, sono fuggiti dal Gambia per vivere in esilio. Molti altri hanno abbandonato definitivamente la loro professione, il che ha avuto un impatto negativo sul giornalismo indipendente. Ancora oggi non ci siamo ripresi da questa perdita, che ha indebolito l’informazione indipendente nel paese».

 

Davanti a una pizza c’è tempo per rilassarsi un attimo. Poi, però, è ora di andare a letto e lasciarsi alle spalle una giornata che, si spera, possa marcare una svolta nel processo contro l’impunità delle dittature.

Pubblicato il 

16.05.24
Nessun articolo correlato