Coronavirus, oltre al dolore per le perdite umane, evidenzia il ruolo fondamentale della Società civile che sta dimostrando tutta la sua ricchezza con una crescente solidarietà che si esprime tramite azioni singole spontanee o organizzate (concerti, aiuti puntuali di sostegno a persone bisognose impossibilitate o costrette a casa). Un’esperienza umana che fa riscoprire il valore della vicinanza e rafforza l’unità d’intenti che sicuramente contribuiranno a modificare o almeno incrinare certezze e convinzioni. Anche Confederazione, Cantone e Comuni si sono attivati avviando una serie di misure per venire in aiuto economico a ditte, commerci, piccoli imprenditori e lavoratori indipendenti ed autonomi. Altri aiuti arriveranno: 100 miliardi di franchi secondo la stima di due professori del politecnico per curare le ferite e far ripartire l’economia svizzera. Insomma una sorta di “piano Marshall CH”. Le misure urgenti allevieranno lo stress e dovrebbero consentire di guardare al futuro con un minimo di fiducia. Futuro che però non potrà essere un semplice riavvio della macchina economica messa in crisi dagli effetti del coronavirus. Crisi significa anche occasione di ripensamento. Oggi (ri)scopriamo di essere tutti sulla stessa barca e che tutti devono remare. Ma è poi vero? Due paradossi: Esempio 1: da un lato il personale sanitario di ospedali e ambulanze che stanno dando tutto quanto possono, rinunciando a sonno, famiglia, esponendosi pure a maggiori rischi di salute per salvare gli altri. Dall’altro, persone che lucrano sulla scarsità di materiale necessario: liquido per disinfettare le mani, mascherine, medicamenti: una farmacia mi ha venduto una bottiglietta di disinfettante per le mani a 10 franchi, il suo prezzo usuale è 6,40. Spiegazione: scarsità, la legge di mercato. Esempio 2: indipendenti, piccoli commerci hanno dovuto arrestare da un giorno all’altro la loro attività economica. Sono rimasti “nudi”: senza entrate, poche riserve, strozzati dall’obbligo di pagare oneri, tra cui interessi su prestiti contratti; al contempo istituti di credito che battono alla porta esigendo il pagamento degli interessi dovuti. Una questione quella dell’interesse sul credito che tocca anche gli enti pubblici che giustamente iniettano finanziamenti per l’economia. Ma dove si procurano tali mezzi finanziari, come costituiscono i fondi, chi li alimenta? È un aspetto poco noto ai più. Lo Stato (in Svizzera Confederazione, Cantoni e Comuni) ottiene un credito da altri soggetti quali banche, imprese, fondi di investimento (sia nazionali sia esteri) che acquisiscono obbligazioni o titoli di Stato. Il debito pubblico non è nient’altro che la somma dei crediti forniti da istituti finanziari, non ancora rimborsati su cui corre l’onere dell’interesse. Interesse che tutti i debitori (tra cui Confederazione, Cantone) devono regolarmente pagare, oltre naturalmente a rimborsare l’ammontare del prestito. Due almeno le constatazioni: a) Quella dell’interesse è un’invenzione umana, non una legge divina e tantomeno ubbidisce alla legge della natura come invece fa il coronavirus. b) L’ammontante dei prestiti dei vari Stati sarà enorme. La recente crisi del 2008 ci ha mostrato che a pagare il conto (interessi e diminuzione del debito) sono stati i cittadini tramite imposte o subendo misure di austerità che hanno tagliato fondi pubblici per la socialità, le infrastrutture ospedaliere necessarie… arricchendo una minoranza. E una certezza: l’interesse è un meccanismo subdolo che condiziona le persone, concentra la ricchezza trasferendo il denaro da una vasta maggioranza ad una minoranza. È ciò che vogliamo continuare a mantenere?
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