Da qualche mese lavoro in un settore per me nuovo, che è quello dell’integrazione professionale di persone al beneficio di provvedimenti dell’assicurazione invalidità. Alla presentazione del progetto di cui sono responsabile, una giornalista, visibilmente imbarazzata, mi ha posto una domanda che, a sua detta, mi sarebbe parsa "strana". Mi ha chiesto se sono invalido pure io o se sono una persona normale. La mia risposta, tanto incomprensibile che sembrava tratta da un editoriale di Dillena, l’ha lasciata perplessa. La sua domanda, tuttavia, ha evocato in me un paio di ricordi. Innanzi tutto, mi ha riportato alla mente le interminabili discussioni che ho fatto con i miei compagni di studi sulla terminologia da usare per definire le persone che gravitano attorno ai servizi sociali: clienti, utenti, assistiti,… Tutte parole che hanno non solo un significato letterale ma anche una loro valenza simbolica. E strettamente collegata a questo aspetto v’era poi la questione della normalità, cosa vuol dire, ma gli assistiti sono normali sì o no, e così di seguito. Secondariamente, mi ha fatto ricordare i dati di un rapporto che ho letto nell’ambito di uno studio che ho svolto recentemente sulla promozione e protezione della salute nel mondo del lavoro. L’accostamento può sembrare strano, ma (la mia sarà deformazione ma io mi sono sempre occupato di integrazione professionale) questa domanda mi ha spinto a leggere in un’ottica diversa quel rapporto, riflettendo su cosa vuol dire essere normale nel mondo del lavoro di oggi.
Essere normale, nella nostra Europa di oggi, per circa:
— un quarto dei lavoratori significa essere esposti o a rumori, o a vibrazioni, o a variazioni eccessive della temperatura (alte o basse),
— un terzo dei lavoratori significa trasportare e/o sollevare carichi pesanti,
— la metà dei lavoratori vuol dire essere sottoposti a condizioni di lavoro logoranti,
— un sesto dei lavoratori implica essere esposti a prodotti chimici dannosi,
— più della metà dei lavoratori significa essere messo sotto pressione per rispettare i tempi imposti, non dalle macchine ma dal lavoro stesso (o meglio ancora da chi lo dirige),
— i due terzi dei lavoratori vuol dire essere sotto pressione a causa delle esigenze sociali poste dai clienti,
mi fermo qui? Mi fermo qui. Le conseguenze della nostra normalità sono sconvolgenti: siamo tutti così normali da ammalarci. Ed i casi di disturbi alla salute derivanti dalle condizioni di lavoro, negli ultimi anni dimostrano una tendenza all’aumento. Lo indicano alcuni studi europei, e per restare a casa nostra, la già dimenticata inchiesta sul costo dello stress in Svizzera. Che senso ha essere o voler essere normali, quando poi la tua normalità ti spinge a diventare diverso? |