Di crack in crack

L’attualità recente ha portato alla luce una serie di tristi avvenimenti che hanno come protagonisti alcuni disinvolti operatori economici: il caso Parmalat in Italia, le difficoltà di Adecco, l’interminabile serie di malversazioni e gestioni allegre in Ticino e in Svizzera e l’ancora doloroso tonfo di Swissair. Si ripropongono quindi con forza la questione della responsabilità sociale dell’economia e il problema del controllo esercitato dalle istituzioni. Un monito a vigilare ci viene dal passato della finanza nostrana. Correva in Ticino l’anno 1914. Tutto, a quel tempo, dipendeva strettamente dai partiti politici e tutto era strettamente subordinato alle strategie elettorali in un aspro e infinito confronto fra liberali e conservatori. Neppure le banche si sottraevano a questa logica. La Banca cantonale, fondata nel 1861, era controllata dal partito liberale e godeva i favori del governo di allora, saldamente in mano allo stesso partito. Il Credito ticinese, fondato nel 1890, era invece la roccaforte finanziaria del partito conservatore. I forzieri dei due istituti di credito conservavano i gruzzoli dei risparmiatori, le piccole fortune faticosamente racimolate con anni di stenti dagli emigrati e i capitali delle piccole industrie locali. Ma più che le leggi del mercato le due banche assecondavano la ragione di partito. I prestiti agevolati e le prestazioni di favore erano all’ordine del giorno e servivano più ad assicurarsi i favori elettorali della clientela che a favorire lo sviluppo economico del Cantone. Qualche avvisaglia di cedimento c’era già stata. Qualche anno prima un affare di malversazione aveva portato la Banca cantonale sull’orlo del fallimento, ma si era salvata grazie all’intervento delle banche cantonali di Vaud e Zurigo. La lezione non era servita. Speculazioni temerarie, prestiti senza garanzie, gestione approssimativa e mancanza di controlli portarono i due istituti ad un clamoroso crack. Primo a crollare fu il Credito ticinese. Sulle ceneri fumanti della banca conservatrice i liberali chiesero pene esemplari per i vertici della banca, ma cambiarono decisamente tono qualche giorno dopo, quando anche la Banca cantonale sprofondò nel baratro. Il fallimento dei due istituti ebbe ripercussioni anche su altre banche e naturalmente sulle imprese. Nell’arco di qualche giorno i risparmiatori ticinesi avevano visto volatilizzarsi 34 milioni di franchi. L’inchiesta seguita al disastro mise in luce l’incredibile rete di connivenze tra finanzieri, politici e istituzioni. Oggi i rapporti tra economia e politica si sono invertiti: è piuttosto l’economia a trainare la politica. Ma evidentemente resta ancora qualche problema da affrontare.

Pubblicato il

30.01.2004 13:00
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