Devono essere riassunti

Quando il padrone di una cava di granito ticinese afferma che il granito italiano costa la metà di quello svizzero e dunque “per starci dentro” è necessario diminuire la paga degli scalpellini, non bisogna credergli. Non perché non sia vero quello che dice, ma perché è vero quello che non dice. Per esempio che può avere partecipazioni azionarie o la proprietà di cave italiane, come la cava Salnova di Saltrio, in mani svizzere, che tritura a pieno ritmo roccia e memoria dei gloriosi picapreda per farne pietrisco di sottofondo stradale. Oppure può affidare a ditte oltre frontiera la lavorazione dei blocchi e importare il materiale già pronto: «La segatura con telai, dopo un tentativo di far eseguire questo lavoro da operai che lavorano in proprio con le nostre macchine a Castione, viene presto abbandonata. Facciamo eseguire questo lavoro nei laboratori della regione di Domodossola e Verona a prezzi più convenienti dei nostri» scriveva nel 2008 Roberto Antonini, erede della nota famiglia di cavatori della Riviera, prima di trasformare la propria ditta in una società di compra-vendita di materiale lavorato e di gestione immobiliare. Produrre a costi italiani o cinesi e vendere a prezzi svizzeri. Fare concorrenza a sé stessi, con esiti talvolta comici come la facciata a pelle di leopardo del Lac a Lugano o la pavimentazione in granito cinese che si è dovuta rifare in Corso San Gottardo a Chiasso. Dunque concorrenza feroce di tutti contro tutti, ma unanimità su un punto: risparmiare sul costo della manodopera.


Nuno Guerra Martins, José Maria Guedes, Marcio Mota Correia, tre scalpellini alle dipendenze della Graniti Maurino SA di Biasca, sono stati licenziati per aver partecipato il 16 giugno scorso allo sciopero indetto dal sindacato con l’obiettivo di ottenere un contratto di lavoro che preveda per il settore del granito lo stesso trattamento degli operai dell’edilizia, in particolare la possibilità di andare in pensione a sessant’anni. Si calcola che la disdetta del contratto precedente, che conteneva questa clausola, abbia comportato per le aziende un risparmio del 4% sui costi totali.


Alla Maurino si lavora a ciclo quasi continuo: il primo turno dalle 6 alle 14.30, il secondo turno dalle 14.30 alle 23, il turno di giorno dalle 7 alle 17.30, con avvicendamento settimanale; per tutti il sabato dalle 6 alle 12, senza contare gli straordinari e i picchetti nei giorni festivi. Bisogna trovarsi davanti alle fresatrici 10 minuti prima dell’inizio del lavoro. Si capisce perché nessun giovane nato qui accetti di fare l’apprendistato in questo mestiere.


Il diritto di astenersi dal lavoro per ottenere aumenti di salario o migliori condizioni è fissato dall’articolo 28 della Costituzione federale, ma in pratica è negato dalla prevalenza del diritto di proprietà, da una magistratura allergica ai diritti del lavoro, dalla cosiddetta pace del lavoro, dalle intimidazioni della polizia, dalla libertà assoluta da parte dei padroni di licenziare: chi sciopera perde il posto di lavoro. Proprio per questo Nuno, José e Marcio devono essere riassunti. Perché sono dei fresatori provetti, perché è inaccettabile che il lavoro venga trattato in questo modo in Svizzera. Ma soprattutto perché hanno avuto il coraggio di porre una domanda fondamentale alla società: se il settore industriale in Svizzera e in Europa sta perdendo sempre più importanza e sembra destinato a scomparire a vantaggio di un settore finanziario avido e irresponsabile, allora le persone devono essere sacrificate a questa economia? Oppure l’economia deve servire alle persone? Se non rispondessimo a questa domanda significherebbe accettare che dietro al marchio d’origine del granito ticinese ci sia un Maurino che rincorre gli operai quando vanno al gabinetto per dire loro: «Ricordati che per ogni minuto che tu passi là dentro io perdo cinque franchi!»

Pubblicato il

27.08.2014 21:08
Giuseppe Dunghi