Home
Rubriche
Dossier
Multimedia
Archivio
Contatti
Destini di donne nel «machismo» brasiliano
di
Françoise Gehring Amato
Occhi neri, vivacissimi e attenti. Occhi piccoli ma abbastanza grandi per contenere, per essere lo specchio di una storia incredibile. Graça, giovane donna brasiliana, ci accoglie con semplicità a Mutirão, un quartiere alla periferia di São Paulo – a cui i partecipanti hanno dato il nome di «Jardim Celeste» – dove coordina la costruzione collettiva di abitazioni. In queste case semplici trovano finalmente una sistemazione dignitosa molte famiglie che fino a quel momento hanno vissuto la durissima realtà delle favelas. Una realtà che Graça, oggi responsabile del progetto «alloggi collettivi», conosce molto bene perché anche lei è figlia delle favelas. Sorridente, ironica, Graça spiega alla delegazione svizzera le origini e l’evoluzione del progetto in cui il lavoro delle donne è predominante; nella costruzione degli alloggi della comunità (per farvi parte occorre naturalmente rispettare una serie di criteri) le donne hanno assunto e assumono infatti ruoli di primo piano che vanno dalla costruzione materiale delle case all’organizzazione della vita sociale della comunità. Un percorso di emancipazione femminile a cui Graça dà molto peso e non solo per se stessa. Lei, che è nata in una favela e che oggi studia diritto. Lei che dalla periferia del benessere è passata ad assumere delle responsabilità anche in seno alla Marcia mondiale delle donne del suo paese. La sua è davvero una storia incredibile, tanto più che in Brasile l’emancipazione della donna si scontra regolarmente con una mentalità «machista» dalle radici profonde. Ma con un passato come il suo alle spalle la voglia di lottare è grande. «Per trovare uno spazio di autonomia in una società come quella brasiliana, caratterizzata da un forte «machismo» – ci dice Graça – occorre lottare, non ci sono altre soluzioni. Le brasiliane ne sono coscienti ma devono comunque far fronte alla resistenza degli uomini che faticano ad accettare discorsi femministi. Discorsi che il movimento delle donne porta avanti, non senza fatica, per contribuire a cambiare la realtà. La presenza delle donne – osserva Graça – è molto attiva nei movimenti popolari e proprio attraverso questa partecipazione le donne acquisiscono una nuova consapevolezza. Una tappa importante per imparare a reagire di fronte agli uomini e porsi dinnanzi a loro come soggetti. Va comunque detto che in seno ai movimenti popolari il discorso della parità, della divisione dei compiti e delle responsabilità è un fatto ormai acquisito. Qui, nella nostra comunità – spiega ancora Graça – c’è a tratti qualche reticenza. Tuttavia le donne si guadagnano il rispetto proprio attraverso il lavoro in favore della comunità». L’affermazione delle donne, che resta comunque una lotta quotidiana, non è priva di conseguenze nelle relazioni sociali. «Le donne considerate battagliere, quindi forti, – spiega Graça – possono incontrare delle difficoltà nelle relazioni con l’altro sesso. Siccome siamo coscienti di quello che valiamo, siccome sappiamo ciò che desideriamo, siccome non siamo disposte a chinare la testa di fronte ad un uomo – ci racconta Graça – spesso siamo percepite come delle avversarie. Quindi se da un lato gli uomini hanno imparato a rispettarci, dall’altro lato ci temono e pertanto mettono delle barriere che ostacolano le relazioni sociali ed affettive». Come uscire, allora, da questo dilemma? «L’educazione – ci dice Graça senza esitazione – è un fattore determinante nel cambiamento delle mentalità. Lo vedo io che ho due figli maschi». Anche Iva, l’amica di Graça, può essere considerata una giovane donna battagliera. Nata nel quartiere di Mutirão, studia medicina a Cuba. Il suo obiettivo, una volta il diploma in tasca, è di tornare nella comunità e svolgere il lavoro di medico. Anche per lei essere una donna forte non è facile. Ma Iva sa perfettamente che questo è il suo destino. E ad esso non intende sottrarsi. Lo stesso discorso vale per Maddalena, una donna di 33 anni che ha deciso di entrare a far parte del «Movimento Sem Terra» (Mst). L’abbiamo incontrata nell’accampamento «Chico Mendez». Gli uomini dell’accampamento la chiamano affettuosamente «Nossa comandante» e lei sorride, con il bambino in braccio. «Ho deciso di entrare nel Movimento Sem Terra – ci racconta Maddalena – per riscattare mio padre. Mio padre ha sempre lavorato nelle aziende dove è stato regolarmente sfruttato e maltrattato. Un giorno è stato cacciato e lui non ha più potuto occuparsi della famiglia. Così io, in sua memoria, ho deciso di occupare le terre e di lottare affinché i contadini possano avere del terreno da coltivare e, quindi, di che mangiare e di che nutrire la famiglia. Ai proprietari terrieri – sottolinea Maddalena – la terra interessa soltanto come fonte speculativa. Intanto in Brasile ci sono migliaia di persone che muoiono di fame. In questo paese c’è terra per tutti, ma la società non capisce questa nostra lotta per cui veniamo costantemente discriminati. Siamo poveri, è vero, ma molto determinati. La povertà si può combattere restituendo le terre a chi la lavora». Le storie di Graça, Iva e Maddalena hanno in comune una straordinaria forza: forza di volontà, di lotta, di affermazione. Hanno anche in comune l’attaccamento ai valori della vita e della giustizia, così spesso calpestata in un paese dove il divario tra i ricchi e i poveri cresce di giorno in giorno. L’essere donna in realtà così tremendamente difficili, dove la violenza è strumento di terrore e di potere, rappresenta indubbiamente una sfida supplementare. Tante non hanno trovato dentro di loro la forza, tante non hanno neppure avuto la possibilità di scegliere. Per questo le voci e i volti di Graça, Iva e Maddalena sono forti ed importanti: il valore della loro testimonianza non ha prezzo. Attiva nella Marcia mondiale delle donne del suo paese, Graça porta avanti la lotta in nome suo e specialmente in nome di tutte le altre. E lo fa con una semplicità che lascia disarmati. Senza enfasi sul suo vissuto personale, continua ad illustrarci quali sono le conquiste fondamentali per l’altra metà del cielo in Brasile. Ci spiega come il lavoro sia un fattore importante di emancipazione per le donne giacché consente loro di essere indipendenti, totalmente o in parte, a livello finanziario. Del resto nell’agenda femminista delle donne brasiliane spicca la richiesta di introdurre un salario minimo come strumento di lotta contro la povertà. Con la stessa «forza tranquilla» con la quale ci ha parlato delle donne brasiliane, Graça si congeda da noi. E nei suoi occhi neri una storia infinita.
Un tribunale contro la violenza
Povertà e violenza. Due realtà che toccano le donne, due problemi da combattere. Lo sa bene la Marcia mondiale delle donne che su questi due temi ha centrato la sua politica di rivendicazione per i diritti delle donne. Presente in forza alla seconda edizione del Forum sociale mondiale di Porto Alegre, la Marcia mondiale delle donne ha animato diversi seminari, uno dei quali sulla violenza domestica. Dal dibattito è nata una risoluzione che chiede la creazione di un Tribunale internazionale contro la violenza. L’auspicio della Marcia mondiale delle donne è dunque quello di vedere al Forum sociale mondiale del 2003, che si terrà ancora a Porto Alegre, detto tribunale in azione. La conferenza dedicata al tema «Cultura della violenza, violenza domestica» ha messo di nuovo in luce, semmai ce ne fosse ancora bisogno, quanto la violenza sia una componente costante nella vita delle donne. La rappresentante della Marcia mondiale delle donne in India ha ricordato che 20-50 per cento delle donne del mondo sono state vittime di un’aggressione e che una donna su dieci è stata stuprata. Secondo la femminista canadese Diane Matte, segretaria generale della Marcia mondiale, le donne sono sottomesse ad un millenario processo di dominio articolato attorno ad un singolare «trio»: capitalismo, patriarcato e razzismo. «La globalizzazione – ha detto la canadese – ha triplicato gli effetti di questo trio. In un mondo dove ogni ora una donna viene assassinata, emerge in modo inequivocabile uno stato di paura. Questa paura genera e alimenta il limite di autonomia e di partecipazione sociale e, di conseguenza, il limite della cittadinanza». La violenza contro le donne, ha sottolineato la psicanalista brasiliana Jurandir Freira Costa, è stata costruita sulla base di modelli culturali e veicolata di generazione in generazione. Da qui la necessità di fare un lavoro educativo in profondità per eliminare, per quanto possibile, le discriminazioni su base sessuale. Secondo Freira Costa per combattere la violenza occorre strappare quel consenso morale che permette ad un uomo di diventare violento senza essere ostacolato. Altro campo di intervento la pubblicità che ha creato un modello estetico che le donne si sentono, in qualche modo, obbligate a seguire. Imporre un modello di perfezione fisica come simbolo di successo ed emancipazione rappresenta una forma di violenza inaccettabile come pure una nuova prigione dove rinchiudere le donne. Un mondo maggiormente ugualitario passa attraverso l’abolizione della violenza. Perché la violenza è una forma di potere oltre che di terrore.
frg
Pubblicato il
22.02.02
Edizione cartacea
Anno V numero 6
Articoli correlati
Nessun articolo correlato