Giustizia & Società

La colpa non fu della polizia o del Municipio, ma dell’operaio. È l’ultima ipotesi di risposta alla domanda che l’opinione pubblica sta aspettando da una decina di giorni: chi ha deciso la demolizione del Centro autogestito luganese? L’ipotesi traspare dai recenti servizi mediatici del gruppo Corriere del Ticino (intervista al sindaco Marco Borradori di ieri a Teleticino e l’articolo odierno sulla versione cartacea). La decisione di demolire lo stabile fu conseguente ad una maldestra e affrettata operazione di rimozione del tetto, che avrebbe pregiudicato l’intero stabile tanto da renderne inevitabile l’abbattimento. Questa in sintesi l’ultima versione in circolazione sulle responsabilità della demolizione. La tesi difensiva del tetto scagionerebbe (quasi) tutti gli attori, ma è in contrasto con quanto dichiarato in precedenza dalle autorità politiche e i fatti noti all’opinione pubblica. Un riassunto cronologico s’impone.

 

Alle 17.50 di sabato 29 maggio, la polizia comunale telefona a un'impresa edile chiedendo di attivarsi per l’intervento all’ex Macello che si concluse con la demolizione della parte non protetta dai vincoli dei beni storici protetti. Malgrado la polizia abbia smentito la telefonata, ad attestarla vi è una mail inviata da un’impresa quale notifica di lavoro straordinario alla Commissione paritetica cantonale resa nota da Unia che indica l’orario con precisione e il nome dell'ufficiale di polizia. A quell’ora, lo stabile dismesso dell’ex Istituto Vanoni non era ancora stato occupato. L'occupazione avverà circa un’ora dopo.

 

Quattro ore più tardi, la polizia telefona al sindaco Borradori per informarlo e chiedere l’autorizzazione della demolizione dello stabile. “Verso le 22” ha confermato più volte il sindaco ai media. Il sindaco e la municipale responsabile del Dicastero Polizia, Karin Valenzano Rossi, informano poi alcuni colleghi municipali (Filippo Lombardi e Michele Foletti) delle intenzioni delle forze di polizia di procedere alla demolizione, avvallata telefonicamente da quattro municipali su sette. Gli altri municipali non avrebbero partecipato alla decisione prescritta dalla Legge organica comunale (Loc), che conferisce al solo Municipio «le funzioni di polizia locali», in ambito di «repressione delle azioni manifestamente illegali e le misure dettate dallo stato di necessità» (art. 107).

 

Lorenzo Quadri non era stato contattato (dando per scontata la sua approvazione), mentre i municipali Roberto Badaracco e Cristina Zanini Barzaghi «non sono stati interpellati perché già contrari alla decisione di sgombero e dunque si presumeva la loro scontata obiezione alla demolizione» ha spiegato Valenzano Rossi. L’opera di demolizione è iniziata tre le 23.30 e le 24, quasi un paio d’ore dopo la telefonata della polizia al sindaco. È possibile che ancor prima d'iniziare a smantellare il tetto, si sarebbe saputo che la conseguenza sarebbe stata l'inevitabile demolizione dello stabile? Perché allora decidere di smantellarlo comunque un'ora e mezzo dopo?

 

Alla luce della cronologia di fatti e delle dichiarazioni dei municipali dei giorni precedenti, l’ipotesi che la demolizione sia da imputare all’operaio alla guida della ruspa (o alla direzione lavori dell’impresa), colpevole di maldestra operazione di rimozione del tetto, appare piuttosto ardita. O perlomeno a un'inversione di rotta fino a quanto comunicato.

 

Sarà l’inchiesta condotta dal Procuratore generale Andrea Pagani far luce sull’intera vicenda a seguito della denuncia penale inoltrata dai Verdi luganesi. In particolare, l’inchiesta dovrà chiarire perché si è proceduto a una demolizione senza previa licenzia edile e, soprattutto, in assenza dell’obbligatoria perizia antecedente che attesti la presenza o meno nello stabile di materiali pericolosi, tra i quali l’amianto. Qual’ora la perizia della Procura dovesse confermarne la presenza, scrivono i Verdi nella loro denuncia, «coloro che hanno ordinato e messo in atto la demolizione si sarebbero resi colpevoli dei reati di violazione delle regole dell’arte edilizia esposizione a pericolo della vita altrui e delitto contro la legge sulla protezione dell’ambiente». Tra i possibili colpevoli, anche l’impresa per non essersi rifiutata di demolire senza la necessaria perizia, mettendo in potenziale pericolo i suoi operai.

 

Il Municipio, per bocca di Filippo Lombardi, ha dichiarato che la licenza edilizia sarà sanata dall’esecutivo con una domanda retroattiva. La legge consente la sanatoria a posteriori solo per vizio formale, non sostanziale. La demolizione di uno stabile senza la perizia sulle sostanze pericolose apparirebbe sostanziale, dunque non sanabile.

 

Oltre a questi aspetti, vi sono altre presunte illegalità che la magistratura dovrà appurare. Sotto le macerie sono rimasti anche effetti personali e materiale di proprietà privata dei molinari. Si prospetterebbe dunque pure un reato alla proprietà privata con la demolizione.

 

La procedura civile in caso di sgombero forzato prevede la presenza del locatario a garanzia dei suoi beni privati da asportare o, in sua assenza, l’allestimento di un inventario dei beni ad opera degli agenti di polizia. È quanto prevede la giurisprudenza ed è quanto accaduto nello sgombero del Maglio nel 2002, dove un molinaro rimase a verificare la salvaguardia di beni personali e collettivi, come appurato da area. Nel caso dell’ex Macello, alla presenza di giornalisti, dei rappresentanti del Molino hanno formulato la stessa richiesta alle forze di polizia a sgombero già avviato, ma l’ufficiale di polizia al comando dell’operazione non si è mai palesato per rispondergli. Parte dei beni è così finita sepolta, mentre un’altra si trova tutt’ora nell’area sequestrata dell’ex Macello.

 

Infine, come rivelato dal domenicale il Caffè, della demolizione in corso non era stato informato il picchetto di magistrati la notte dello sgombero. Neanche il governo ticinese aveva mai saputo dell’esistenza di eventuali piani di demolizione nelle informative precedenti date dalla polizia cantonale. In attesa che la magistratura faccia chiarezza sui molti aspetti oscuri e indichi le responsabilità decisionali, oggi dar la colpa all’operaio suona come l’ultima pietra stonata che rotola sulle macerie della credibilità istituzionale.  

Pubblicato il 

09.06.21
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