Democrazia per soli ricchi

In questo periodo di ristrettezze economiche dello stato e di politiche forzate del risparmio ad ogni costo è interessante indagare qualche aspetto della stretta relazione che intercorre tra la ricchezza dei cittadini e l’esercizio della democrazia. Le istituzioni democratiche di Atene nel V secolo avanti Cristo sono unanimemente considerate le progenitrici lontane di qualsiasi democrazia. Gia allora, però, il rapporto tra economia e democrazia non era senza problemi. Molti lavoravano, molti producevano ricchezza ma non tutti avevano il diritto di partecipare alla gestione dello stato. Erano esclusi gli schiavi, che per definizione non godevano di alcun diritto. Il loro numero era considerevole e superava di parecchio quello dei cittadini. Campi, fattorie, miniere, produzione artigianale… insomma tutta l’economia ateniese poggiava sul lavoro non retribuito degli schiavi. Erano escluse le donne, che conducevano un’esistenza segregata e sempre sottoposta alla tutela di un uomo: il padre, il marito o anche il figlio se vedove. Erano esclusi anche i meteci, cioè gli stranieri risiedenti ad Atene. Questi spesso accumulavano grandi ricchezze commerciando o gestendo patrimoni di cittadini ateniesi. Pagavano ingenti tasse e questo li rendeva molto interessanti per lo stato e in caso di conflitto erano anche reclutati nell’esercito. Ma non potevano partecipare alla vita politica e non potevano sposarsi con donne ateniesi e i figli di eventuali unioni illecite di questo tipo non godevano di alcun diritto politico. Un mirabolante salto di millenni ci porta alla democrazia dell’Ottocento in Ticino. Altre condizioni, contesto diversissimo, ma esclusioni dall’esercizio dei diritti politici che riverberano quelle dell’antichità. Secondo la Costituzione cantonale del 4 luglio 1830, per esercitare i diritti civici il cittadino doveva essere di sesso maschile, avere venticinque anni, essere patrizio di un comune ticinese e possedere beni per un valore di 200 franchi o una rendita di 300 franchi derivante da beni situati nel Cantone. Per poter votare bisognava quindi essere patrizi e ricchi. Tutti gli altri erano esclusi. Anche nel Ticino dell’Ottocento democrazia non significa necessariamente uguaglianza. Solo con la Costituzione federale del 1848 si impone il principio del suffragio universale, che naturalmente continua ad escludere le donne. Oggi la tendenza sembra di nuovo volgere alla limitazione. L’idea di obbligare chi ha la doppia nazionalità a sceglierne una in modo definitivo, la prassi corrente in alcuni cantoni volta a limitare le naturalizzazioni e la politica del risparmio ad ogni costo con la conseguente diminuzione degli aiuti sociali, la minore ridistribuzione della ricchezza e la riduzione del servizio pubblico… indicano chiaramente una tendenza a restringere il campo dei cittadini a pieno titolo.

Pubblicato il

22.04.2005 12:30
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