Delusione, frustrazione e rabbia. Non (solo) nel sindacato, che ne è il portavoce, ma nei sentimenti di venditrici e venditori per il responso delle urne di domenica scorsa che ha sancito un ulteriore passo verso la liberalizzazione degli orari di apertura dei commerci in Ticino, approvata dal 57% degli aventi diritto di voto. Ma non c’è rassegnazione.
«La battaglia ora si trasferisce sull’applicazione» rassicura Chiara Landi del sindacato Unia, volto e voce del No alle modifiche di legge appena approvate in votazione la scorsa domenica dalla maggior parte dei votanti ticinesi. «Vigileremo su quali negozi apriranno grazie alle deroghe turistiche stabilite dal Cantone, che riguardano i due terzi delle località del cantone. Deroghe che ricordo equivalgono a un’apertura sette giorni su sette dalle sei del mattino alle dieci di sera per superfici di 400 metri quadrati. Questi negozi, in base alla legge cantonale appena votata, potranno aprire. Ma non potranno impiegare personale come stabilisce la legge federale sul lavoro. Se nei negozi di duecento metri quadrati l’equilibrio tra legge federale e cantonale poteva reggere, col raddoppio di superficie no. La legge e la giurisprudenza federale definiscono in maniera chiara quale tipologia di merce destinata ai turisti può esser venduta nei negozi la domenica e nei giorni festivi. Nel limite di 200 metri quadrati, il proprietario riesce a gestire da solo l’apertura. In una superficie di 400 metri quadrati, è impossibile riuscire a gestire da solo l’intero negozio. A quel punto interverremo con segnalazioni puntuali alle autorità competenti per infrazione alla legge federale sul lavoro per violazione sull’impiego di dipendenti» spiega la sindacalista. Frustrazione dei lavoratori si diceva. «Come sindacato abbiamo ricevuto molti messaggi di venditrici e venditori delusi, arrabbiati e soprattutto preoccupati per le condizioni d’impiego e di vita che avranno in futuro. La loro frustrazione si fonda sul fatto che i loro interessi siano stati completamente ignorati durante tutta la campagna o dalla maggioranza del Gran Consiglio al momento del voto che approvò le modifiche di legge». Ed è stata proprio l’attitudine dei promotori politici delle modifiche a far infuriare il sindacato. «Il legislativo ha il dovere di tutelare gli interessi della collettività, non di esprimere delle convinzioni sulla base di semplici opinioni. Quando si ha la responsabilità di legiferare sulla vita dei cittadini, le decisioni devono fondarsi sulla scorta di studi scientifici. Le opinioni si possono avere al bar, ma non quando hai la responsabilità di legiferare per il bene della comunità. Nel caso della valutazione dell’impatto delle modifiche in votazione, è stato l’opposto. Un trionfo della superficialità e del menefreghismo degli interessi e delle preoccupazioni della controparte, dei dipendenti». Lo si è visto anche durante la campagna, dove veniva sbandierato un concetto della libertà di una sola parte, quella dei proprietari, mentre si offuscava la libertà dei dipendenti, obbligati a lavorare. «Quando i favorevoli parlavano di colpo di mano ai commercianti, il contraltare era lo schiaffo ai dipendenti. Sempre di colpo di mano si parla, ma nel loro caso è un pugno in faccia» commenta Landi. Il sindacato vigilerà sull’applicazione della legge non solo per tutelare gli interessi dei venditori, perché le conseguenze toccheranno varie fasce della popolazione salariata. «A pagare il prezzo della nuova regolamentazione delle aperture dei negozi, sarà l’intera filiera. La logistica, le pulizie, i servizi di sicurezza, i trasporti merci, le industrie alimentare e non, solo per citarne alcuni. I dipendenti di questi rami avranno delle ripercussioni e si troveranno a dover lavorare in orari e giorni anomali. Il tema vero è la perdita di sincronizzazione dei tempi di lavoro e dei tempi liberi. La domenica è rimasta l’unico giorno sincronizzato di tempo di riposo. Ciò consente alla stragrande maggioranza di lavoratrici e lavoratori di avere la medesima giornata libera. Ciò tutela la vita sociale e familiare delle persone. Pezzo per pezzo stanno smontando questa sincronizzazione del tempo libero in comune. Le ripercussioni non saranno solo a livello individuale, ma di società. E non sarà certamente un progresso sociale» chiosa la sindacalista. Delusione per l’esito delle urne, si diceva. 43 votanti su cento hanno seguito la voce dei lavoratori, le loro paure per i peggioramenti verso cui sarebbero andati incontro con l’adozione delle modifiche, esprimendo un No nelle urne. Un risultato discreto, purtroppo insufficiente. Una campagna condotta quasi in solitaria dalla forza sindacale Unia. «Se non fossimo stati lasciati soli a spiegare le ripercussioni sulla vita dei dipendenti, forse il risultato sarebbe stato diverso» commenta amareggiata Chiara Landi. La sindacalista prova amarezza non solo per i dipendenti, ma anche per il destino dei titolari di piccoli negozi. «Mi rammarica il fatto che non sia emerso, volutamente o meno, l’interesse preponderante della grande distribuzione nella votazione. È già stato provato e comprovato da tutti gli studi condotti nei paesi dove la liberalizzazione degli orari è stata attuata, che a beneficiare di questa progressiva liberalizzazione sarà la grande distribuzione. È inevitabile. I piccoli commercianti non avranno nessuna libertà di scelta di aprire o meno, altrimenti perderanno la quota di mercato a profitto delle grandi catene. Il piccolo commercio si sta gettando nelle mani del suo carnefice».
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