La volontà di conquistare maggiore peso politico o di consolidare le posizioni sinora occupate può giocare, all'interno di una società civile e democratica, brutti scherzi. Può condurre ad adottare forme di convincimento dell'elettorato che, oltre a superare di gran lunga il buon gusto e la ragionevolezza, rasentano la paranoia e l'ossessione. Anche la paura di perdere i posti conquistati può indurre a usare strumenti propagandistici al limite del legalmente consentito e del rispetto delle idee e opinioni altrui, se non addirittura apertamente discriminanti.
Alla fine dei conti, la demagogia ha la meglio sulla politica, ed è purtroppo una riprova che, in barba al servizio del bene comune a cui dovrebbero dedicarsi partiti e movimenti sociali in genere, il fine giustifica i mezzi. Ed è tipico del populismo voler distinguere a tutti i costi e in modo solitamente arbitrario il bianco dal nero, il buono dal cattivo, il giusto dallo sbagliato. È inevitabile che il dibattito politico s'imbruttisca al punto da diventare uno spettacolo di pessima qualità, e quindi tutt'altro che svizzera! Non è necessario tornare agli anni Trenta del secolo scorso per considerare le conseguenze nefaste delle derive autoritarie sul tessuto sociale e sulle radici culturali e spirituali di un paese: la politica guerrafondaia statunitense ne è un tragico ed attualissimo esempio.
Quando si perdono il senso della misura e gli obiettivi di crescita collettiva, non ci sono purtroppo più steccati che tengano. L'importante è provocare discussione attorno a sé o su questioni ritenute (spesso a torto) fondamentali. Tutto è considerato lecito, soprattutto se non può essere sottoposto a sanzione giuridica. Eppure, l'occupazione quasi unilaterale dell'arena politica non è, di certo, una manifestazione di democrazia, né è segno di maturità politica della cittadinanza non reagire di fronte alle esagerazioni esasperanti di chi vuole attirare ad ogni prezzo i riflettori su di sé.
Se il popolo elettorale è saggio e ravveduto, non accetta senza colpo ferire d'essere trattato come un branco di pecoroni, e nemmeno permette che sia l'arbitrarietà a segnare il passo del confronto sociale. Le denunce di complotti o il vittimismo populista sono purtroppo modalità sin troppo note (come il classico fumo negli occhi che, a lungo andare, rischia d'annebbiare pure la mente) per distrarre l'attenzione della gente e degli enti deputati a vigilare sul rispetto delle competenze e sulla separazione dei poteri. I risultati sono sotto i nostri occhi, se vogliamo riconoscerli, in Svizzera come in Ticino.
Ha pertanto fatto bene la Presidente del Consiglio Nazionale, in apertura di sessione a Berna, a richiamare alla modestia nel dibattito politico, mentre non farebbe male riferirsi al comportamento esemplare di un san Nicolao della Flüe, che già sei secoli fa vedeva il pericolo per la coesione nazionale dovuto alla rivendicazione d'interessi particolari a discapito di quelli collettivi.

Pubblicato il 

28.09.07

Edizione cartacea

Rubrica

Nessun articolo correlato