Del buon uso dei padrinati

Nel sempre più affollato, competitivo, anonimo e professionalizzato mercato delle donazioni, le adozioni a distanza continuano ad essere una carta vincente. Organizzazioni non governative (ong), associazioni e fondazioni coinvolte in progetti umanitari e di sviluppo nei paesi del Sud hanno capito da tempo che chi è disposto ad “aiutare” metterà più facilmente mano al borsellino se avrà l’impressione di avere un contatto diretto con il beneficiario o la beneficiaria dei soldi che ha deciso di donare. Estremamente efficaci in termini di raccolta fondi, scelte da persone mosse da una sincera generosità, da una reale voglia di “far del bene”, le adozioni a distanza (o padrinati nominali, individuali) sollevano però non pochi interrogativi etici e operativi. Lo ha ribadito di recente la fondazione Zewo, che ha deciso di attribuire d’ora in poi l’omonimo marchio di qualità solo alle organizzazioni di pubblica utilità che non “offrono” adozioni a distanza e che invece optano per padrinati collettivi oppure riguardanti un progetto, un tema o un paese specifico. area ha gettato uno sguardo sul mondo della cooperazione allo sviluppo in Ticino, dove agiscono per lo più piccole ong che non fanno capo al modello di certificazione Zewo. Puran Rai è un bambino di dieci anni, figlio di Pasang e Augustina. Vive nel villaggio di Poshyore, India, non lontano dal confine con il Nepal e il Bhutan. Sandali ai piedi, vestito di pantaloni color beige e camicetta azzurra, posa sulla sfondo di una vegetazione rigogliosa. Sotto un braccio ha un pallone, l’altro lo tiene dietro la schiena. Puran Rai ci sorride col suo simpatico faccino da una fotografia che troviamo sul sito internet della Fondazione umanitaria Arcobaleno di Lugano. Di lui sappiamo che «i genitori lavorano come ‘coolie’ [giornalieri, ndr] guadagnando circa fr. 30 mensili. La famiglia vive in una capanna in fango e bamboo con tetto in paglia. Puran frequenta la III classe e fa parte dell’Orchestra d’archi di Gandhi Ashram ed ha due fratelli minori e una sorella maggiore». Chi vorrà versare 120, 360 o 600 franchi in una sola volta oppure in rate mensili, trimestrali o semestrali, potrà ricevere la foto del bambino due volte all’anno, oltre che notizie e informazioni sull’operato della Fondazione, da anni impegnata nella regione dove sostiene diversi progetti umanitari e «molto attenta», si legge sul sito internet, «a non far crescere nei bambini un senso di superiorità sugli altri nato dalla consapevolezza di avere un padrino-sponsor in Svizzera». La Fondazione Arcobaleno, inoltre, «non incoraggia» padrini e madrine ad avere un’idea «troppo radicata e personalizzata del ‘loro figlioccio in India’». Secondo la fondazione Zewo le adozioni a distanza (o padrinati nominali, individuali) come quelle proposte dalla Fondazione umanitaria Arcobaleno sono da abbandonare (vedi articolo sotto). Ragioni etiche e di protezione dei bambini imporrebbero l’adozione di padrinati “collettivi” a sostegno di gruppi di bambini (ad esempio: una scolaresca), categorie particolari di persone, progetti, villaggi o interi paesi. Una trasformazione che non va da sé. Le adozioni a distanza infatti continuano a vendersi bene sul mercato sempre più competitivo delle donazioni, e soprattutto le piccole ong alla ricerca costante di fondi sono riluttanti a urtare la sensibilità (e quindi il borsellino) di padrini e madrine fortemente coinvolti dal lato emotivo, persone alle quali spesso devono la loro stessa esistenza o sopravvivenza. «Quanto volte abbiamo dovuto dire di “no” a persone che volevano dare dei soldi per un bambino o una bambina in particolare!», dice con una punta di rammarico Marisa Rathey, presidente del gruppo della Svizzera italiana di Terre des Hommes che non promuove adozioni a distanza ma può vantare tra i 700 e gli 800 padrinati “collettivi”, a sostegno di paesi o tematiche specifiche. «Una persona si impegna moralmente a portare avanti il sostegno di un bambino durante anni: il tasso di fidelizzazione di chi decide di donare in questo modo alla fine è molto alto. Ci sono nostri donatori a distanza che sostengono bambini dal 1993», afferma Marta Guglielmetti, responsabile raccolta fondi e comunicazione della sede di Milano di Terre des Hommes che invece continua ad inviare ai padrini e alle madrine informazioni dettagliate sui “figliocci” oltre che sui progetti nei quali sono inseriti. Nella Svizzera italiana una ventina delle 60 ong affiliate alla Fosit (Federazione delle ong della Svizzera italiana) finanziano i loro progetti – o una parte più o meno consistente di essi – attraverso dei padrinati (vedi due esempi nei box accanto). Sono una decina quelle che lo fanno attraverso delle adozioni a distanza, o padrinati individuali. Negli ultimi anni anche nella Svizzera italiana si è sviluppato un dibattito attorno ai vantaggi e agli svantaggi dei padrinati individuali. «A livello di Fosit e di singole ong è in atto una riflessione sul da farsi, sulla necessità di passare da un approccio di tipo caritatevole a uno incentrato sulla sostenibilità economica di un progetto, volto a generare un’autonomia locale nella risoluzione dei problemi. Il cammino però è ancora lungo», dice ad area Claudio Naiaretti. Per anni segretario della Federazione e attento osservatore del mondo della cooperazione allo sviluppo, Naiaretti riconosce i limiti che spesso caratterizzano i progetti incentrati sulle adozioni a distanza: selettività e discriminazioni («sul terreno ci si rende conto cosa significa avere 10 bambini finanziati attraverso padrinati mentre ve ne sono altri 100 che rimangono senza niente: se i criteri non sono chiari, si va incontro a seri problemi»), difficoltà nei rapporti con i padrini e le madrine («può capitare che dei padrini assumano l’iniziativa di andare a visitare il “figlioccio” e di regalargli una bicicletta, gesti che possono anche provocare gelosie e disuguaglianze»), oneri amministrativi non indifferenti («esistono ong senza segretariato, che si basano unicamente sul lavoro volontario dei membri, e che si ritrovano a dover gestire centinaia di bambini e padrini: un lavoro immane»). Ma le adozioni a distanza comportano un altro rischio, forse meno evidente dei precedenti ma proprio per questo più subdolo. Fornendo con le migliori intenzioni uno sbocco immediato alla sincera voglia di “far del bene” di chi è pronto a mettere mano al proprio borsellino, le ong che praticano le adozioni a distanza intrattengono o fomentano nei loro donatori uno spirito caritatevole. Rischiano in questo modo da un lato di prolungare oltre il dovuto un sostegno di tipo assistenziale ai progetti in corso, dall’altro di non favorire nei padrini e nelle madrine una presa di coscienza della realtà sociale, economica e politica del paese in cui si trova il progetto che rischia così di trasformarsi agli occhi dei donatori in un “progetto cartolina”. Le adozioni a distanza sono state per anni una delle principali fonti di finanziamento dei progetti dell’Associazione di aiuto medico al Centro America (Amca, www.amca.ch). Lo sono sempre meno. I padrinati individuali attraverso i quali veniva finanziato il centro scolastico Barrilete de Colores a Managua (Nicaragua) sono stati abbandonati nel 2000 – con qualche resistenza, ma con poche defezioni – a favore di padrinati per classe: le adozioni a distanza avevano infatti suscitato vive discussioni sia in Ticino sia in seno alla controparte locale. «I padrinati individuali laggiù creavano ingiustizie e grossi problemi presso i bambini e le loro famiglie. Qui avevamo grosse difficoltà: dovevamo spiegare ad alcuni padrini che se mandavano una Barbie da 30 dollari – il salario mensile della famiglia che la riceveva – stavano suscitando dei bisogni piuttosto che rispondere a quelli reali», spiega ad area la segretaria di Amca Manuela Cattaneo. Attraverso una rete di padrini Amca sostiene pure il reparto di neonatologia dell’ospedale Bertha Calderón a Managua: anche in questo caso le donazioni non vanno al singolo neonato ma sono destinate all’acquisto di medicine per l’intero reparto. In collaborazione con un comitato legato al reparto di oncologia pediatrica dell’ospedale San Gerardo di Monza, Amca continua a basarsi sul sistema delle adozioni a distanza per sostenere i bambini ammalati di tumore degenti all’ospedale pediatrico La Mascota, sempre a Managua. I padrini e le madrine sono una quarantina. «Un 30-40 per cento di loro hanno un figlio o una figlia malati di cancro e per questo hanno stabilito un legame molto forte con i “figliocci” e le loro famiglie», spiega Manuela Cattaneo. «Un rapporto a volte molto difficile da gestire per noi; un problema che dovremmo affrontare», riconosce. L’Associazione Ticino Kenya Youth Education (Atkye, www.atkye.ch) è una delle poche ong ticinesi a finanziare i suoi progetti attraverso adozioni a distanza. Fondata alla fine del 1997, conta su una rete di 180 padrini e madrine che pagano gli studi di bambini e adolescenti in diverse scuole primarie e secondarie del Kenya. In questi mesi Atkye sta cercando fondi per aprire una scuola propria nel distretto di Malindi. Ogni donatore riceve una scheda con i dati personali (età, sesso, scuola frequentata, situazione familiare, risultati scolastici, ecc.) e una fotografia recente del bambino che sostiene agli studi. «Le persone si sentono gratificate quando vedono che i loro soldi vanno a un bambino di cui conoscono il nome e possiedono una foto», spiega la responsabile Esther Stella. In seno ad Atkye non è stata condotta una riflessione vera e propria su vantaggi e svantaggi delle adozioni a distanza: se n’è parlato in alcune occasioni, ma non se n’è fatto nulla. La raccomandazione della fondazione Zewo pare comunque «una buona cosa» a Esther Stella: «per noi sarebbe ideale se le persone (alcuni donatori lo fanno) contribuissero ai progetti di Atkye senza chiedere a chi vanno i soldi: ci risparmierebbero tra l’altro una gran mole di lavoro amministrativo». Fra le circa 300 organizzazioni di pubblica utilità che vantano il marchio Zewo, solo Sos-Kinderdorf “offriva” fino a poco tempo fa delle adozioni a distanza. Messa sotto pressione dalla fondazione Zewo, temendo il mancato rinnovo della certificazione, l’organizzazione ha deciso di cambiare: i padrinati nominativi attuali verranno mantenuti, ma d’ora in avanti i nuovi padrini e le nuove madrine potranno “adottare” solamente dei progetti o interi villaggi (Nzz am Sonntag, 28 agosto 2005). La posizione della Zewo riguardante le adozioni a distanza non rappresenta una novità. «Da anni informiamo e sensibilizziamo sui problemi dei padrinati individuali. Solo recentemente però abbiamo deciso di porre la condizione esplicita: le nuove organizzazioni che vorranno ottenere il marchio di qualità dovranno dimostrare di non praticare adozioni a distanza», spiega ad area Martina Ziegerer, direttrice amministrativa della fondazione. La condizione riguarda anche le azioni di raccolta fondi e di reclutamento di nuovi donatori: «le organizzazioni possono presentare dei casi tipici negli invii ai donatori attuali e potenziali, ma non potranno creare una relazione diretta tra di essi e i beneficiari dei fondi». In un documento dell’ottobre 2004 (consultabile sul sito www.zewo.ch), la fondazione Zewo spiegava in questi termini l’interesse delle ong per i padrinati individuali: «La pubblicità per le adozioni a distanza è uno dei metodi più efficaci per raccogliere fondi. In effetti, con questo tipo di padrinato, le donatrici e i donatori hanno spesso la sensazione di aiutare in modo diretto e meno amministrativo. Non hanno l’impressione che i loro doni si volatilizzano nell’anonimato né di finanziare una struttura amministrativa onerosa. L’impegno in un padrinato individuale lega spesso per lungo tempo le donatrici e i donatori all’organizzazione». La Zewo consiglia a padrini e madrine di sostenere piuttosto dei progetti, dei gruppi, delle tematiche particolari o interi paesi. Secondo la fondazione, oltre che comportare spese amministrative più elevate, i padrinati individuali generano infatti «spesso false aspettative» nei bambini, provocano «delusione dalle due parti, perturbando sensibilmente l’equilibrio sociale», utilizzano spesso alcuni bambini, «senza volerlo», come «mezzi pubblicitari». Inoltre, la relazione emotiva tra padrino (o madrina) e bambino/a risponde sovente a «un desiderio unilaterale dei padrini»: «i bambini sono in difficoltà e per questo non possono pronunciarsi liberamente per o contro questa relazione», scrive la Zewo.

Pubblicato il

09.09.2005 04:00
Stefano Guerra