Gli operai cinesi bruciati dentro un capannone di Prato, nel cuore pulsante della democratica Toscana, non sono stati uccisi dal fuoco ma dalla legge del profitto. Dopo tre decenni di urla scomposte contro il costo del lavoro troppo elevato, del sistema esagerato dei diritti, dei lacci e lacciuoli che legano le mani al libero fluire del capitale, proprio a Prato si è realizzato il miracolo della competitività e della produttività. Chi – politici e amministratori – oggi piange sulla sorte degli operai morti come topi in trappola, come gli schiavi di Dakka, finge di non sapere che la strage è figlia di un’ideologia liberista che ha avvelenato politica e società italiane. Tutti sapevano, nessuno voleva sapere. Adesso lo sport preferito dai politologi è pigliarsela con i consumatori che comprano t-shirt e palloni a bassissimo costo senza chiedersi in quali condizioni schiavistiche siano stati prodotti. Dividere i poveracci per sfruttarli meglio fino a ucciderli – meglio se a ucciderli sono i padroni cinesi – e poi addossare loro la colpa: perché sono “clandestini”, disposti a lavorare, dormire e crepare nello stesso loculo, o perché la crisi li affama e dunque invece di comprare pulito acquistano a low cost. Questa rubrica dovrebbe occuparsi soprattutto di politica italiana, e proprio per questo usiamo come parametro e metafora la strage di Prato. Perché la Politica è troppo impegnata nel Palazzo per discutere di cosa è diventato il Paese, in una settimana cruciale per le sorti della Casta: il Pd si frantuma in preparazione delle primarie che chiamano congresso di domenica 8 dicembre, con Renzi che minaccia il premier Letta con un linguaggio diversamente berlusconiano, Cuperlo che a differenza di Civati non se la sente di proporre una patrimoniale sui più ricchi, Civati che a differenza di Cuperlo non se la sente di sostenere la parità delle unioni sentimentali e familiari. Renzi non vuole né l’una né l’altra. Degli schiavi cinesi non fotte a nessuno. Certo non al vicepremier Alfano, altro diversamente berlusconiano in guerra con i berlusconiani doc. Mentre Grillo riempie la piazza di Genova e raccoglie consensi bruciati da destre e centrosinistra, mentre dove si vota più della metà degli aventi diritto diserta le urne. La domanda vera non è chi vincerà tra Renzi, Cuperlo e Civati, e neanche chi la spunterà tra i berlusconiani di governo e i berlusconiani di lotta, ma chi si occupa degli operai, bianchi o gialli che siano, che muoiano bruciati a Prato o di cancro all’Ilva, chi li rappresenta, chi li tutela? Certo non questo ceto politico autoreferenziale, corrotto, incapace persino di fare l’unica cosa per cui il governo delle larghe intese è stato imposto da Re Napolitano: una legge elettorale democratica. Chiunque abbia in mente un’uscita da sinistra dalla crisi non può che ripartire da Prato, da Taranto, da Pomigliano e Mirafiori, dalla ThyssenKrupp, da Casale. Se ci siete, battete un colpo.
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