Decisioni politiche

Il dibattito sulla liberalizzazione del servizio pubblico, o meglio su i suoi effetti più deleteri, si fa sempre più acceso. Anche la questione traffico e la controversa problematica del raddoppio della galleria autostradale del San Gottardo sono diventati argomenti che dividono l’opinione pubblica svizzera in “pro” e “contro”. Partigiani di battaglie tra “progressisti” e “conservatori”. La causa è da ricercare, magari, nelle mutate sensibilità ambientali, sociali ed economiche dei cittadini. Su tali tematiche, abbiamo posto alcune domande al Consigliere federale Moritz Leuenberger, capo del Dipartimento federale dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni (Atec). Signor consigliere federale, una parte sempre più consistente dei cittadini non accetta le politiche tese a liberalizzare ampi strati del servizio pubblico. Qual è la sua posizione? Neanch’io le accetto! Penso però che sia sbagliato parlare di una “liberalizzazione del servizio pubblico” in quanto tale. Il servizio pubblico consiste in una serie di principi che lo Stato definisce a livello di legge, ossia l’approvvigionamento di base in beni e servizi d’infrastruttura deve essere accessibile a tutti e nell’insieme del territorio nazionale, alle stesse condizioni e a prezzi adeguati. Mi sono impegnato personalmente affinché questo principio venisse garantito in Svizzera. L’obiettivo politico, quindi, è il servizio pubblico. Il mezzo che ci permette di raggiungere tale obiettivo può essere una volta la liberalizzazione, un’altra volta il monopolio statale, o ancora la privatizzazione. Tuttavia le polemiche sulla ristrutturazione della Posta non accennano a placarsi. Si tratta di scelte davvero inevitabili? Innanzitutto una precisazione: questa ristrutturazione non ha niente a che vedere con la liberalizzazione, bensì col fatto che la Posta ha il mandato di funzionare in modo efficiente, e in particolare senza dover far ricorso al denaro del contribuente. È stato il Parlamento a chiedere, a più riprese, dalla Posta tale efficienza. Ora, si può discutere sul modo in cui la ristrutturazione è stata concepita e presentata. Il progetto “Rema”, così come era stato formulato all’inizio, probabilmente non era “inevitabile”, visto che poche settimane dopo è stato ritirato di fronte alle proteste. Ciononostante sarebbe illusorio pensare che una riforma non sia necessaria. Lo sviluppo delle nuove tecnologie mette la Posta sotto una pressione enorme e impone una riforma. Pensiamo solo al fatto che ci sono sempre più persone che effettuano i loro pagamenti attraverso Internet e spediscono le lettere via e-mail. La Posta perde così decine di migliaia di clienti e deve far fronte alla nuova situazione. L’ex azienda pubblica dei telefoni (Swisscom) gode di buona salute finanziaria tanto è vero che si sta espandendo sul mercato austriaco. Come mai, allora, attua una politica di licenziamenti “preventivi” in Svizzera, inimicandosi sindacati e forze politiche? È solo una questione di concorrenza o piuttosto di salvaguardare i dividendi futuri degli azionisti? Dobbiamo chiederci: è meglio mantenere in modo artificiale dei posti di lavoro che a medio termine possono rivelarsi negativi per l’impresa, oppure investire in un piano sociale che mantiene sana l’azienda e permette al personale di affrontare con fiducia il proprio futuro professionale? Già nella primavera del 2000 Swisscom aveva annunciato la soppressione di circa 3 mila posti di lavoro sull’arco di diversi anni. Ma non ci saranno licenziamenti per il personale che dispone di un contratto collettivo di lavoro. Swisscom ha messo in piedi un piano sociale esemplare, per il quale sono stati stanziati circa due miliardi di franchi. Sarà così possibile attuare tutta una serie di misure fra cui dei programmi di formazione e di perfezionamento del personale. Mi rendo conto che come membro dell’esecutivo deve adeguarsi alla volontà del parlamento che, ad esempio, in materia di liberalizzazione del mercato postale, ha fatto scelte che si sono dimostrate impopolari. Qual è la sua azione politica per mitigare la portata di queste scelte? È vero, c’è chi vuole liberalizzare tutto e al più presto. Io ho sempre rifiutato con fermezza tale approccio perché lo ritengo troppo brusco. Ma l’ambiente che ci circonda – penso all’Unione europea – si muove in una direzione e non possiamo fare finta che non succeda niente. Possiamo però trarre vantaggio dalla nostra sovranità politica e avviare delle riforme in modo graduale e ragionevole. Mi sono perciò sempre impegnato a favore di un “cammino svizzero” in questo ambito. Prendiamo l’esempio della Posta. L’Ue ha deciso di abbassare, a partire dal 2006, a 50 grammi il limite di monopolio per le lettere. Noi, invece, abbiamo fissato tale limite a 100 grammi, sempre a partire dal 2006. Ciò significa che l’80-90 per cento del volume resterà sotto il monopolio della Posta. Durante tutto il suo mandato, c’è una decisione di cui si è pentito? Mi riferisco in particolare al dossier delle ex-regie federali. Ho senz’altro tratto un insegnamento dal modo in cui è stato gestito il progetto “Rema”. Avrei sicuramente abusato delle mie competenze se avessi esclamato “così non va!”, ma allo stesso tempo avrei dovuto assistere molto più da vicino questa riforma. Penso ad esempio che la Posta avrebbe dovuto dapprima discutere con i Cantoni e i sindacati e cercare una soluzione ragionevole che tenesse conto delle esigenze dell’impresa ma anche di altri partner coinvolti. D’altronde, è quanto viene fatto adesso. Quali sono i rapporti tra lei e il Partito socialista svizzero (Pss)? Improntati al dialogo oppure ci si guarda con diffidenza? Sono membro del Pss e al tempo stesso sono il suo rappresentante nel Consiglio federale. Nel nostro sistema politico non esiste un governo di maggioranza e un’opposizione. Di conseguenza, ogni partito di governo, non solo il Pss, può avere una posizione di fondo molto più radicale di qualsiasi altro partito governativo in Europa. Ciò significa che ogni membro del governo ha di tanto in tanto delle divergenze con il proprio partito. Questo fa parte del nostro sistema e tutti ne sono coscienti. Sono lieto che il Pss conosca una lunga tradizione che fa sì che tali divergenze vengano discusse apertamente. Ed è proprio questa apertura alla discussione che mi permette di sentirmi a mio agio in seno al Pss. “Stabio-Gaggiolo, il Ticino ascolti Berna” Il Consiglio nazionale nell’ultima seduta del 2002 ha approvato una serie di progetti stradali (tra cui l’ipotesi di raddoppio del tunnel del San Gottardo). Dopo una politica dei trasporti pubblici (AlpTransit e Ferrovia 2000) che era, per molti versi, da esempio per l’Europa, si torna a privilegiare il trasporto stradale. È un’inversione di rotta per la Svizzera. Signor Leuenberger, come spiega ciò? Non credo si tratti di un’inversione di rotta. Sarebbe peccato e addirittura incomprensibile se fosse così, visto che proprio negli ultimi anni diversi Paesi europei, nonché la stessa Commissione europea, hanno riconosciuto che la via svizzera è l’esempio da seguire. E il Popolo svizzero ha ribadito a più riprese tale politica, accettando, ad esempio, la tassa sul traffico pesante, investimenti miliardari per AlpTransit e per la modernizzazione della ferrovia. Secondo molti gruppi politici, ambientalisti e non, il raddoppio del tunnel del San Gottardo sarebbe una tragedia per il Cantone Ticino. Lo trasformerebbe, di fatto, in un parcheggio per Tir. Vale la pena proseguire in questa direzione? No. Io rimango contrario al raddoppio. Le risorse sono limitate e i veri problemi risiedono altrove, ad esempio nell’agglomerato di Lugano e nel Mendrisiotto. Mi ricordo che nel 1994 il 64 per cento dei ticinesi aveva accettato l’articolo costituzionale sulla protezione delle Alpi che vieta una seconda galleria al San Gottardo. Constato però che in Ticino, oggi, il Consiglio di Stato , sette parlamentari federali su dieci, le associazioni economiche ecc. sono favorevoli al raddoppio... Un altro tema che sta animando il dibattito sulle politiche stradali in Ticino è il completamento della superstrada Stabio est-Gaggiolo. Qual è la priorità di questo tratto stradale per la Confederazione? In caso di raddoppio del San Gottardo trasformerebbe il valico del Gaggiolo nella seconda porta doganale verso l’Italia. È fondato questo pericolo? Completare il tratto mancante fra Stabio e la frontiera con l’Italia, a Gaggiolo, permetterebbe di decongestionare il Mendrisiotto e di far fronte alle difficoltà che si riscontrano a Chiasso. Ma tale progetto ha senso solo se ci sarà un seguito sul suolo italiano con la relativa piattaforma doganale. È indispensabile poi che esso venga coordinato con il progetto ferroviario Mendrisio-Arcisate-Malpensa. D’altronde, queste sono alcune riserve contenute nel preavviso sul finanziamento dell’Ufficio federale delle strade (Ustra) dello scorso dicembre. Il progetto definitivo che il Cantone intende pubblicare deve tenere conto delle osservazioni dell’Ustra ma anche di quelle formulate dall’Ufficio federale dell’ambiente, delle foreste e del paesaggio (Buwal), soprattutto per quanto riguarda la protezione delle acque e dei siti contaminati. gene

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21.02.2003 01:00
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