Società

Dalla radio al podcast, 90 anni per narrare il... mondo

Il 18 aprile 1933 viene posata l'antenna del Monte Ceneri e subito sl diffonde il nuovo mezzo di comunicazione, fondamentale per la Svizzera italiana. A quasi un secolo altri strumenti si impongono: come cambia il panorama mediatico

È il 18 aprile 1933, la prima antenna a onde medie viene installata sul Monte Ceneri, e la radio conquista il territorio con una velocità e una profondità paragonabile a quella che viviamo oggi con i nuovi media.

Altri mezzi di comunicazione sono esplosi con la stessa potenza, ma non sono – sostengono gli addetti ai lavori – sufficientemente sostenuti dalla Confederazione.

 

Dalla radio al podcast, in mezzo quasi un secolo, come è cambiato il medium?


Non vogliamo calcare la mano, ma fu un’altra piccola Bbc. Piccola, certo, ma ebbe un’importanza enorme negli anni.
Novanta anni fa, era il 18 aprile 1933, la prima antenna a onde medie veniva installata sul Monte Ceneri e in maniera fulminea si manifestò un altro approccio all’informazione.

Alla posa di quel ripetitore, pionieristico per i tempi, seguì lo sviluppo del medium, che penetrò nelle radici della Svizzera italiana fino a diventarne leggenda.

Il nuovo strumento portò con sé la modernità, diede un’interpretazione concreta del federalismo delle minoranze e offrì un microfono alle grandi voci della cultura italiana di allora.
Già, perché Radio Monte Ceneri rappresentò un laboratorio dove conciliare l’elvetismo sul piano politico con l’italianità, cui ha sempre guardato la nostra regione, sul piano culturale. Ed è forse, proprio in questa esperienza della radio, che la Svizzera italiana è riuscita a vivere in maniera completa la sua identità senza contraddizioni.


L’abbiamo chiamata anche noi Radio Monte Ceneri anche se non è mai stata la sua dicitura ufficiale, ma un rimando al luogo dove si trovava l’antenna che permetteva a quella voce di farsi sentire dentro e fuori dai confini nazionali.

Una voce che, a cavallo dei due conflitti mondiali del Novecento, era considerata “l’unica libera e democratica” in lingua italiana, in un momento in cui altrove il mezzo era usato per propagandare totalitarismi e fascismi.
Non bastano i direttori dei giornali di allora, contrariati dal nuovo media che percepiscono come concorrente, a bloccare la sua corsa. Radio Monte Ceneri, il servizio pubblico in piena espansione, si consolida come medium di massa radicato nelle pratiche quotidiane della regione: una radio diretta, prodotta e animata da uomini di cultura.

 

Uno strumento che stravolge il mondo della comunicazione a livello locale, nazionale e internazionale, accentuando i valori nazionali nell’etere: la Svizzera attraverso la radio si dimostra in grado di garantire un’informazione corretta e una programmazione completa anche nelle lingue minoritarie.


Sono passati novant’anni, nuovi attori sono comparsi sulla scena mediatica: come è cambiata la radio? E lo spirito di servizio pubblico è rimasto lo stesso?


Ne abbiamo parlato con il luganese Olmo Cerri, classe 1984, produttore di audiodocumentari radiofonici e podcast (il suo ultimo lavoro è “Quegli stupefacenti anni zero”, cinque episodi disponibili gratuitamente sul sito della RSI e sulle principali piattaforme per raccontare gli anni del boom dei canapai in Ticino).

 

La radio formò, informò, fece sognare, discutere, creò un altro modo di fare informazione oltre ai giornali. Olmo Cerri, 90 anni dopo, come si presenta il mondo della comunicazione audio?
La radio negli anni si è trasformata: schiacciata dalle misure di risparmio, spesso e volentieri è diventata una radio di flusso, che fa compagnia con intrattenitori in diretta che parlano del più e del meno, fornendo informazioni sul traffico, ma con poca attenzione all’approfondimento. È innegabile che si investa meno in prodotti audio costruiti e postprodotti come gli audiodocumentari, i reportage o i radiodrammi che sono ben più costosi del flusso. Il podcast ha in qualche modo recuperato questo compito non più svolto dalla radio tradizionale, proponendo allo stesso tempo un’evoluzione e un adattamento dei linguaggi.

 

Forse non tutti sanno di preciso che cosa sia un podcast...
Nella definizione di podcast rientra ogni prodotto audio digitale disponibile online. Interessante però riflettere su quei progetti pensati principalmente per questo tipo di distribuzione e fruizione. Opere narrative audio che, proprio in questi anni, stanno riscuotendo molto interesse e tramite le quali si stanno sperimentando nuovi linguaggi e modalità di narrazione.

 

Lei fa parte di eCho, la rete per l’arte sonora e radiofonica in Svizzera. L’anno scorso avete sollevato la questione della mancanza di aiuti mirati per il genere. Un podcast che valore pubblico ha?
Il podcast è un prodotto culturale a sé stante, che meriterebbe una valorizzazione e una promozione specifica. In Svizzera giustamente si finanzia il cinema, il teatro e la scrittura, perché non finanziare anche chi racconta e riflette sulla realtà con questo nuovo strumento? Il podcast con il suo processo produttivo poco dispendioso permette anche il racconto di realtà marginali, dando visibilità e cittadinanza a ogni parte della società. Si chiede che la creazione sonora venga inclusa nel prossimo messaggio culturale, riservandole quindi un’attenzione specifica e dando così la possibilità anche a progetti audio indipendenti di essere sostenuti dalla Confederazione.


Abbiamo visto che cosa ha rappresentato la radio nella nostra regione: consolidamento della democrazia, della cultura, della giustizia sociale. I podcast concretamente che cosa possono offrire al pubblico?
I podcast, potenzialmente, possono essere uno strumento per diffondere idee nuove e incidere sul mondo che ci circonda, dando spazio di racconto e di parola anche a realtà messe in secondo piano o che non trovano spazio di racconto mediatico nei canali tradizionali.

 

Gli audiodocumentari che cosa rappresentano a livello sociologico? Sono una mutazione delle abitudini dell’uomo?
Dalla notte dei tempi abbiamo amato farci raccontare storie: i nostri antenati lo facevano la sera davanti al fuoco, quando si ritrovavano e si tramandavano di bocca in bocca miti e leggende. In fondo il podcast sfrutta questo piacere atavico, facendo leva sul potere evocativo del suono e del racconto. Trovo che abbiamo a disposizione uno strumento moderno che permette una narrazione intima e personale e allo stesso tempo approfondita e non superficiale.

 

Che impatto hanno avuto i podcast sulla radio? Siamo nell’era della personalizzazione dell’ascolto?
Sempre più stazioni radio e media tradizionali decidono di produrre podcast. Lo fa anche la nostra RSI, per esempio tramite il progetto “Audiofiction” di Rete2. Grazie all’attenzione della produttrice Francesca Giorzi, la radio pubblica si è lanciata in questo campo, proponendo recentemente tre serie di podcast, che trattano in maniera personale di vicende molto legate alla nostra realtà: il mercato della canapa, le armi da fuoco, e il nostro rapporto con la morte.


È la rivincita della parola sull’immagine?
Non è una gara fra audio e visivo, ma in un mondo dominato dall’immagine, è piacevole, e in qualche modo liberatorio, provare anche altri strumenti di racconto. Io apprezzo molto il fatto di poter ascoltare podcast, non dovendo tenere lo sguardo fisso sul monitor, ma facendo altro: camminando, correndo o mentre mi trovo sui mezzi pubblici.

 

Basta avere un computer per fare un podcast? O che altro serve? Un mondo di professionismo di cui abbiamo una percezione molto indefinita...
Per realizzare un buon podcast ci vuole ricerca, attenzione, ascolto, empatia oltre che una quantità di abilità tecniche non indifferenti. Dietro ad ogni prodotto di qualità c’è tutta una serie di professionalità: persone che si occupano della sceneggiatura, della tecnica audio, del montaggio, della sonorizzazione e della colonna sonora.

 

Perché all’interno della Straordinaria avete sentito la necessità di dedicare un intero pomeriggio di studio all’argomento? Che cosa è emerso?
Seppur esistente già da oltre vent’anni il podcast, soprattutto alle nostre latitudini, è ancora uno strumento piuttosto sconosciuto. La giornata “Udite, udite!”, organizzata alla Straordinaria, è servita a far conoscere una serie di bei progetti audio nati sul territorio. Penso per esempio a “Tracciati”, podcast sugli afrodiscendenti in Ticino, o alle sperimentazioni delle webradio indipendenti, Radiogwen fra tutte. Un momento utile di socializzazione di saperi, di scambi e per fare rete fra professionisti e appassionati di questo modo di raccontare il mondo.

Pubblicato il

17.04.2023 13:09
Raffaella Brignoni e Federica Bassi
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