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Dall'oggetto miracolato all'oggetto spazzatura
di
Roberto Rüegger
Ho un computer. Mi segue fedelmente da cinque anni nelle mie peregrinazioni tra le carte degli archivi e i tomi delle biblioteche. Funziona perfettamente e assolve egregiamente tutti i compiti per i quali l’avevo acquistato, ma è gravemente ammalato. La sua malattia si chiama “obsolescenza”. Cavi, batterie e prese di vario tipo cambiano standard tecnologico ogni sei mesi e diventano immediatamente irreperibili nei negozi. È la logica dell’usa e getta, o meglio ancora del compra-butta-e-ricompra possibilmente senza fare lo sforzo di usare. I rituali dell’incessante alternarsi di euforia e nemesi merceologica si sono sovrapposti a quelli delle celebrazioni cristiane per cui la nascita del Salvatore è celebrata con l’acquisto di oggetti velocissimamente deperibili e segnati da un incombente destino di rottamazione. Che cosa c’entra tutto questo con la storia? È proprio l’immensa distanza che separa il nostro modo di vivere da quello delle generazioni passate che mi ha fatto riflettere. In particolare colpisce quanto fosse differente il valore delle cose. Significativo è un episodio della vita di San Benedetto (480-547). «Un giorno si presentò un goto a chiedere l’abito. Era un povero uomo di scarsissima intelligenza, ma il Servo di Dio benedetto lo aveva accolto con particolare benevolenza. Un giorno il santo gli fece dare un utensile di ferro che per somiglianza con una falce viene denominato falcastro, perché liberasse dai rovi un pezzo di terra che intendeva poi coltivare ad orto. Il terreno che il goto si accinse a bonificare si trovava proprio a strapiombo sulla riva del lago. Il goto lavorava vigorosamente tagliando con tutte le sue forze cespugli densi di rovi, quando ad un tratto il ferro sfuggì dal manico e sprofondò nel lago, proprio in un punto in cui era così profondo da non lasciare speranza di poterlo ripescare. Tutto tremante il goto corse dal monaco Mauro, gli confessò il danno causato e chiese di essere punito per la sua colpa. Mauro si affrettò ad informare Benedetto dell’accaduto. Egli si recò immediatamente sul posto, prese il manico dalle mani del goto e lo immerse nell’acqua. Il ferro tornò a galla e si innestò da solo nel manico. Benedetto riconsegnò lo strumento al goto e gli disse: “Ecco, prosegui pure il tuo lavoro e sii contento”». La distanza è abissale. Ai tempi di San Benedetto un oggetto di ferro era così prezioso da meritare un miracolo, poco importa se reale o percepito come tale dai contemporanei. Oggi invece qualsiasi oggetto è semplicemente da considerare pattume potenziale da rimpiazzare all’infinito e sempre più velocemente, altrimenti l’economia mondiale minaccia il tracollo. Non rimpiango certo la povertà del VI secolo, ma ho il dubbio che stiamo sbagliando qualcosa.
Pubblicato il
17.12.04
Edizione cartacea
Anno VII numero 51-52
Rubrica
Storia
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