Dall’America Latina segnali di maturità politica

Trent’anni fa l’America Latina era molto presente nei nostri media. C’era la guerra fredda e se noi tifavamo per il governo sandinista ed i guerriglieri salvadoregni o guatemaltechi, gli avversari caldeggiavano l’annientamento militare di tutti quei movimenti che secondo loro sapevano di comunismo. La caduta del muro di Berlino con la, si spera, provvisoria affermazione del capitalismo nonché qui da noi la contemporanea ascesa del leghismo e quindi l’esaltazione spesso becera del localismo, hanno fatto in gran parte scomparire dai nostri media quanto succede a quelle latitudini.

 

Basti pensare che i colpi di stato fascistoidi avvenuti recentemente in Paraguay o in Honduras, o addirittura fatti sconvolgenti, come i quasi 500 prigionieri asfissiati o bruciati vivi in una prigione honduregna un paio di anni fa: sono stati al massimo citati in un paio di righe. Questo silenzio mediatico è stato rotto ultimamente da una parte da papa Francesco superstar, di cui non si può nascondere il passato di sacerdote dei poveri nelle periferie di Buenos Aires, dall’altra dagli avvenimenti in Venezuela.

 

In quest’ultimo caso, come anche per quanto sta succedendo in Ucraina, improvvisamente rinasce lo spirito della guerra fredda. In un caso (Kiev) si spera nell’apertura al grande capitale, nascondendo che il nuovo governo è farcito di neofascisti, nell’altro (Caracas) i grandi organi del capitale internazionale soffiano sul fuoco per fare cadere quel governo, che ha avuto la sfacciataggine di usare i proventi petroliferi a favore dei poveri, limitando lo strapotere dell’oligarchia finanziaria.


In fondo però, e mi si passi lo sfogo, volevo piuttosto parlarvi di qualcosa di più positivo. In particolare dell’elezione del nuovo presidente di El Salvador, Salvador Cerén Sánchez, che nel ballottaggio del 9 marzo ha superato per una manciata di voti il candidato della destra, e che meglio è conosciuto come “comandante Lionel”. Durante la lunga guerriglia contro il governo sanguinario di Arena, che era costata più di 50.000 morti, il nuovo presidente era stato uno dei comandanti più conosciuti nell’ambito della coalizione Fmln (Fronte Farabundo Martí de Liberación Nacional), che alla fine era riuscita ad imporre l’accordo di pace e di democratizzazione nel 1992.

 

Da allora l’Fmln è venuto a poco a poco affermandosi come il movimento politico principale del paese: nell’ultimo “governo di coalizione” Lionel era stato ministro dell’educazione, con ampi riconoscimenti da tutte le parti. Il fatto che ora, nonostante la feroce campagna anti-comunista di tipo “berlusconiano”, sia stato eletto, dimostra il grado di maturità politica raggiunto da questa ed altre società centro-americane.

 

Ma anche più a sud nel continente c’è un altro esempio simile: sto parlando dell’Uruguay, dove da un paio di anni è presidente José Mujica, che quale esponente della guerriglia Tupamaros ha passato ben 18 anni in prigione durante il periodo delle dittature militari. Mujica continua a vivere in una specie di baita, corrispondente ad un rustico ticinese, nella periferia di Montevideo, e si reca ogni giorno al palazzo presidenziale, dove si rifiuta di abitare, con una vecchia Volkswagen. Il suo prestigio (tutti sanno che ha un corpo martoriato dalle torture subite a che devolve quasi tutto il suo salario ad opere caritatevoli) gli ha permesso di far accettare provvedimenti “rivoluzionari” quale per esempio la legalizzazione dell’uso della marjuana.

 

Sia ben chiaro: non sto proponendo modelli da copiare, anche perché le realtà sono diverse: si tratta solo di rendersi conto che non dappertutto dominano, come è il caso attualmente in Europa, decrepitudine e pulsioni reazionarie, che permettono alle banche germaniche e al governo neoliberista dell’Ue di affamare quasi indisturbati i popoli del sud dell’Europa.

Pubblicato il

03.07.2014 13:17
Franco Cavalli