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Dai valori cristiani all’abbraccio con il Governo neofascista

La premier Giorgia Meloni viene accolta con una standing ovation all’assemblea della Cisl: si ufficializza il matrimonio con l’esecutivo più a destra della storia

Se son rose fioriranno. Un bel mazzo di fiori rosa e bianchi, non siamo a Sanremo ma sul palco della Cisl riunita in assemblea. Il segretario uscente del sindacato cattolico Luigi Sbarra lo consegna con un sorriso smagliante e un “Grazie presidente a Giorgia Meloni e dall’affollata platea parte uno scroscio di applausi, una vera standing ovation per la donna sola al comando, la signora degli anelli. Rose o anemoni o altre specie vegetali che dir si voglia, in realtà sono già fiorite, è dall’espugnazione fascista di Palazzo Chigi che tra Sbarra e Meloni si susseguono complimenti e collaborazioni, rinforzati dagli insulti congiunti a Maurizio Landini e dagli sbeffeggi nei confronti della conflittualità agita da Cgil e Uil contro le politiche razziste, nazionaliste, classiste e autoritarie del governo fascio-leghista-berlusconiano. Ma nel corso dell’assemblea di martedì, in preparazione del passaggio del testimone da Luigi Sbarra a Daniela Fumarola, il matrimonio tra la Cisl e il governo è stato ufficializzato con tanto di scambio delle fedi. Un sindacato che compie 75 anni di vita, nato sì da una rottura con la Cgil sotto l’egida degli Usa ma caratterizzatosi da subito su valori cristiani, principi saldi, autonomia, contrattualismo, oggi si accuccia alla corte del governo più a destra della storia repubblicana lanciato all’attacco del popolo migrante, degli organismi umanitari internazionali, dei diritti umani, sociali, dei lavoratori. Sarà lo spirito del tempo a spingere la Cisl a firmare contratti separati, prima che contro Cgil e Uil, contro i lavoratori. E a lanciarsi in un duetto con la Frodo della Garbatella contro “una cultura sindacale contrassegnata da un mix di antagonismo, populismo e benaltrismo”.

 

Non molto diversa da Mussolini

Giorgia Meloni ha detto chiaramente come la pensa sul lavoro, non molto diversamente da quel che ne pensava il capostipite mondiale dei fascisti, Benito Mussolini. Sindacati corporativi accodati al potere politico, e infatti Meloni se la prende: 1) con i contratti nazionali, a cui contrappone quelli territoriali (forse sognando il ritorno alle gabbie salariali); 2) con la conflittualità, a cui contrappone scambi di amorosi sensi tra capitale e lavoro; 3) con gli scioperi “politici” contro il governo, sognando il modello statunitense che li vieta; 4) con i referendum sul lavoro della Cgil, osteggiati dalla Cisl; 5) con il diritto di sciopero nei trasporti e in generale nei servizi.

Con la Cisl Meloni condivide l’idea di una partecipazione dei lavoratori alla gestione d’impresa su cui il Parlamento si prepara ad apporre la sua firma. La proposta di legge presentata dal sindacato guidato da Sbarra è stata pesantemente peggiorata da tagli e modifiche imposte dalla destra e svuotata di senso, ammesso che ne abbia nel sistema di relazioni industriali italiana, ma alla Cisl va bene comunque e martedì l’ha ribadito nell’assemblea con la premier. Non è solo la Cgil a essere contraria alla legge sulla partecipazione dei lavoratori, così come partorita dalla commissione parlamentare, ma anche il Pd che l’ha definita non votabile. Si fa presto a dire il Pd: in realtà, i cosiddetti “riformisti”, i renziani e in primis l’ex segretaria della Cisl Annamaria Furlan, eletta in Parlamento nel partito di Elly Schlein, remano contro, come del resto fanno sui 4 referendum sul lavoro della Cgil perché “il jobs act non si tocca”.

 

Il governo è contrario alla riduzione d’orario a parità di salario, ha impedito di discutere una proposta di legge sul salario minimo (che la Cisl non vuole), ha sfornato un decreto sicurezza che tende a sterilizzare le forme di lotta criminalizzando occupazioni, presidi, sit-in, blocchi stradali e picchetti ai cancelli delle aziende, rifiuta (così come la Cisl) di prendere in considerazione la necessità di una legge sulla rappresentanza sindacale per fermare la pratica odiosa dei contratti fantasma siglati dalle controparti con sigle di comodo.

C’è chi, in difesa delle scelte della Cisl, ricorda che anche al congresso della Cgil fu invitata la presidente del consiglio. In realtà, da sempre al congresso nazionale Cgil viene invitato il capo del governo perché il sindacato non può evitare a prescindere il confronto, qualunque sia il governo in carica, anche se in quella circostanza qualcuno storse il naso. In ogni caso, due anni fa i delegati della Cgil accolsero malvolentieri Giorgia Meloni con le note di “Bella ciao”, e non con una standing ovation.

A proposito della legge sulla partecipazione dei lavoratori (in realtà dei sindacati amici) alla gestione d’impresa, sia concesso al cronista un ricordo personale. Quando esplose la fabbrica torinese della ThyssenKrupp bruciando la vita di sette operai, telefonai al rappresentante del sindacato IG-Metall nel consiglio dell’azienda per chiedergli un’opinione sui diversi livelli di sicurezza nelle fabbriche all’estero rispetto a quelle in Germania. Dopo una settimana di rinvii e imbarazzi, mi disse papale papale: “L’azienda è anche nostra, non posso criticarla perché sarebbe come criticare il sindacato stesso”. Ogni volta che sento parlare del modello sindacale tedesco mi torna in mente questo episodio.

 



Pubblicato il

13.02.2025 09:51
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