Una ferma condanna del massacro operato dal governo israeliano contro la popolazione civile palestinese, la richiesta di un immediato cessate il fuoco e di massicci aiuti umanitari e un appello alla comunità internazionale affinché questa imponga il rispetto delle risoluzioni internazionali che riconoscono al popolo palestinese il diritto all’autodeterminazione e a uno stato con piena sovranità e dunque alla liberazione dall’occupazione israeliana. Sono le rivendicazioni contenute in una risoluzione approvata all’unanimità dall’Assemblea regionale dei delegati (ARD) di Unia Ticino e Moesa, riunitasi a Bellinzona lo scorso 24 novembre. Un’assemblea che ha avuto al centro una discussione preparatoria in vista del Congresso regionale ordinario del 9 marzo 2024 e che si è chinata su una campagna politica di strettissima attualità, come quella contro i tagli alla spesa pubblica di 134 milioni di franchi proposti dal governo cantonale nell’ambito del Preventivo 2024 e che vede Unia in prima fila insieme alle altre forze sindacali e progressiste. La mobilitazione contro questo ennesimo attacco alla socialità, al servizio pubblico e all’interesse delle salariate, dei salariati e della maggioranza della popolazione, ha già vissuto un momento alto lo scorso 22 novembre con l’imponente manifestazione tenutasi e Bellinzona e ne vivrà un altro il prossimo 20 gennaio, per quando il comitato “Stop ai tagli” ha già convocato una nuova manifestazione. Già sin d’ora Unia Ticino invita tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori a scendere in piazza, contribuendo così ad aumentare la pressione sul Gran Consiglio che pochi giorni dopo dovrà decidere sui dolorosi tagli (ai sussidi di cassa malati, agli stipendi dei funzionari pubblici, al settore sociosanitario) proposti dal Consiglio di Stato. Ma i delegati sindacali riuniti a Bellinzona, colpiti dalla ormai apocalittica situazione a Gaza, hanno anche voluto lanciare un segnale di solidarietà alle lavoratrici e ai lavoratori e al popolo palestinese, «nel solco della tradizione del movimento operaio internazionale», si sottolinea nella risoluzione adottata e che qui riproduciamo integralmente. La devastazione che sta generando l’esercito israeliano a Gaza da 48 giorni non ha precedenti: più di 1,7 milioni di persone sfollate, più di 14 mila morti, di cui oltre 5'600 bambini e oltre 6'000 persone risultano disperse sotto le macerie dei bombardamenti a tappeto. Senza contare le decine di migliaia di civili feriti, la maggior parte dei quali donne e bambini. Bilanci che purtroppo salgono di giorno in giorno. Queste cifre non sono solo freddi numeri, ma rappresentano delle persone. Un’intera popolazione sta subendo una punizione collettiva a seguito del massacro commesso da Hamas lo scorso 7 ottobre, che condanniamo con forza. Ospedali, scuole, luoghi di culto sono assediati e bombardati indiscriminatamente, in violazione di tutte le convenzioni del diritto internazionale e umanitario. Alla popolazione di Gaza e ai suoi 900 mila bambini è stato tagliato l’accesso ad acqua potabile, cibo, medicine, energia elettrica e carburante. Tutte le organizzazioni umanitarie internazionali e le agenzie dell’ONU sono concordi nell’affermare che lo stato di Israele si stia macchiando di crimini di guerra e contro l’umanità e che quello che sta avvenendo a Gaza è una catastrofe umanitaria che non ha precedenti nella storia. Con l'aggravarsi della situazione, già a metà ottobre le federazioni sindacali palestinesi hanno lanciato un appello rivolto al movimento sindacale mondiale per ottenere sostegno e impegno all’azione internazionale per fermare la macchina da guerra israeliana. L'appello esortava i sindacalisti a rifiutarsi di costruire armi destinate a Israele; a rifiutarsi di trasportare armi in Israele; ad approvare mozioni in tal senso all'interno del proprio sindacato; ad intraprendere azioni contro le aziende coinvolte nel sostegno delle operazioni illegali commesse da Israele; a fare pressione sui governi affinché interrompessero qualsiasi commercio militare con Israele. Questo appello lanciato dal movimento sindacale palestinese ci racconta una realtà che purtroppo in occidente in pochi conosciamo: vale a dire il ruolo dello sfruttamento dei territori e dei lavoratori palestinesi nel quadro dell’economia coloniale israeliana. Prima del 7 ottobre, infatti, circa 110 mila palestinesi residenti a Gaza e Cisgiordania ricevevano i permessi per lavorare in Israele. Questi lavoratori, però, per poter lavorare erano costretti a sopportare lunghe code e trattamenti umilianti ai checkpoint israeliani fin dalle prime ore del mattino, con il rischio di non ricevere nemmeno l’autorizzazione per attraversare i blocchi. La maggior parte di questi lavoratori era impiegata nel settore edile e nel settore agricolo in condizioni più dure e con salari molto più bassi della manodopera israeliana. Nei primi giorni della guerra, le autorità israeliane hanno arrestato migliaia di gazawi sui cantieri e nei campi trasferendoli nelle prigioni militari israeliane in Cisgiordania. Amnesty International ha dichiarato di aver raccolto testimonianze e prove di forme di tortura e maltrattamenti fatti sui prigionieri palestinesi, tra cui i lavoratori che si trovavano in Israele, che sono stati imprigionati e poi rilasciati. Di fronte a questa drammatica situazione, il movimento sindacale internazionale non può non mostrarsi solidale con la classe operaia palestinese e le sue federazioni sindacali e sostenere la lotta del popolo palestinese contro un’occupazione ingiusta e brutale. I popoli e il movimento sindacale internazionale hanno il dovere di far sentire la loro voce e accrescere le pressioni nei confronti dei governi occidentali affinché si giunga il prima possibile alla dichiarazione di cessate il fuoco e al riconoscimento del diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese. Nelle scorse settimane i lavoratori portuali sindacalizzati in Italia, Grecia, Sudafrica e Stati Uniti si sono rifiutati di caricare armi dirette ad Israele, dichiarando pubblicamente il loro boicottaggio nei confronti di carichi di armi che attualmente sono utilizzate per bombardare indiscriminatamente civili, ospedali e scuole. Anche i sindacati dei trasporti in Belgio hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui annunciano la loro volontà di rifiutarsi di caricare o scaricare le armi in transito verso Israele, destinate alla guerra genocida contro i palestinesi. Nel solco della lunga tradizione di solidarietà internazionale all'interno del movimento operaio, noi lavoratori e le lavoratrici riunite nell’Assemblea regionale dei delegati di Unia Ticino e Moesa: - Esprimiamo la nostra condanna nei confronti del massacro indiscriminato e senza precedenti da parte dello stato israeliano, con l’appoggio colpevole dei governi dell’occidente, che sta colpendo senza distinzioni tutta la popolazione civile palestinese.
- Chiediamo che sia dichiarato immediatamente il cessate il fuoco e l’apertura del territorio della Striscia di Gaza per l’ingresso massiccio degli aiuti umanitari necessari per rimediare alla catastrofe umanitaria in atto.
- Chiediamo che l’intera comunità internazionale imponga il rispetto delle risoluzioni internazionali che riconoscono al popolo palestinese il diritto all’autodeterminazione e il diritto ad uno stato con piena sovranità, ponendo fine all’occupazione israeliana e smantellando gli insediamenti illegali sul territorio palestinese.
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