Da Ratzinger a Mohammad Alì

La Danimarca ha dato una nuova prova di demenza bissando quella precedente. Ancora una volta ha scelto il mezzo delle vignette satiriche, un atto che purtroppo colpisce soprattutto chi vorrebbe avanzare un discorso critico ma rispettoso verso l'islam, come è quello che segue. Dissociandomi da quel gesto stolto e infantile, ecco dunque alcune considerazioni sulla lectio magistralis di Ratzinger a Regensburg.

Il discorso pronunciato da Papa Benedetto XVI all'Università di Regensburg il 12 settembre scorso avrebbe dovuto sollevare un dibattito (se non proprio l'ira) da parte dei razionalisti ad oltranza di tutto l'occidente. O quantomeno quella degli illuministi d'Europa. Invece ha sollevato l'ira (e nessun dibattito, nessuna critica costruttiva, nessun ragionamento teologico) dei musulmani. O per meglio dire dei musulmani dell'oltranzismo islamico, fra cui si annida un numero sempre maggiore di insospettabili "moderati".
È impressionante. Il discorso del Papa – che ho letto e riletto con grande attenzione, con sincera ammirazione intellettuale per un uomo il cui cervello supplisce alle stucchevolezze del cuore – riflette sulla conciliazione, anzi sulla consunstanzialità, fra ragione ellenistica e cristianesimo "europeo". All'annoso dibattito che oppone le "ragioni del cuore" alle "ragioni della mente" (le virgolette sono mie) il professor Ratzinger dà un taglio netto affermando più o meno: la natura di Dio è assolutamente compatibile con la ragione, anzi, la religione è fondata sulla ragione altrimenti rischia di contraddire se stessa. Su questi presupposti il Pontefice analizza i rapporti che si sono dati nel tempo fra razionalismo ellenistico e cristianesimo, menzionando come momento di altissima conciliazione e sintesi fra i due – anzi, di vero e proprio sodalizio – la traduzione in greco dall'ebraico (ad Alessandria d'Egitto) dell'Antico Testamento.
Un solo passaggio parla di islam. E ne parla in modo così indiretto che davvero riesce difficile non irritarsi di fronte all'indignazione esplosa (anzi, abilmente suscitata e abilmente manipolata) subito dopo quella lezione accademica in buona parte del mondo musulmano. Riesce difficile perché quell'ira offende, in ordine di importanza, le seguenti figure: il Papa e la sua cultura, la cultura e l'intelligenza degli stessi musulmani (poiché chi ha letto e capito il discorso papale non può assennatamente arrivare a quel tipo di conclusioni) e la dignità stessa del dibattito culturale internazionale (che merita qualcosa di più di un'orda di scalmanati che sventolano la bandiera del proprio credo come fosse quella della squadra del cuore).
Perché precisamente di questo si è trattato: di una digressione accademica. Di una lezione universitaria. Di un discorso offerto al dibattito culturale internazionale – e non a greggi pronte a ideologizzare ogni cavillo abbia sentore di islam – come invito al ragionamento, alla ragione: non un invito alla barbarie e al rifiuto del confronto. Se poi vi si vuole intravvedere un errore diplomatico, liberi di farlo, ma di questo passo diventerà inopportuno persino la semplice menzione di Maometto senza il canonico "salla Allahu aleihi wa sallam" (che la benedizione e la pace siano su di Lui).
Arriviamo dunque al punto. Ratzinger ha parlato di un dialogo fra un imperatore bizantino del 1300 e un erudito persiano suo contemporaneo. Il dialogo, raccolto non dallo stesso Pontefice ma dal professor Theodore Khoury di Münster – di Münster, non di Kabul – verteva sulla natura del cristianesimo e su quella dell'islam: sulle loro rispettive verità. La ragione per cui Ratzinger ha inserito nella sua lezione tale dialogo è che attraverso una delle considerazioni dell'imperatore in questione, Manuele II Paleologo (che lo stesso Santo Padre definisce, forse ignaro che neanche questo sarebbe bastato a parare i colpi degli irosi, «sorprendentemente brusca, brusca al punto da stupirci»), tale dialogo si presta a un riflessione più ampia sul rapporto fra fede e ragione, e quindi serve a dipanare un dilemma. Vale a dire: fede e ragione devono necessariamente essere in contraddizione? La risposta del Pontefice è: no, fede e ragione sono in perfetta armonia, anzi, senza la ragione la fede contraddice se stessa e contraddice la natura di Dio. Solo a questo punto Ratzinger menziona l'esempio della violenza affermando: «La diffusione della fede attraverso la violenza è cosa irragionevole». (Irragionevole, badate bene, non ignobile, non mostruosa, non invereconda. Irragionevole: non ragionevole, contraria alla ragione). E tornando a citare il puntiglioso imperatore Manuele II aggiunge: «Per convincere un'anima ragionevole non è necessario disporre né del proprio braccio, né di strumenti per colpire né di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una persona di morte...».
Questo è il fulcro del discorso di Ratzinger: il rapporto fra fede e ragione. La ragione come elemento inseparabile dalla fede. E quindi – secondo un sillogismo condivisibile o meno – la necessaria sintesi fra i due. La stessa Europa, sostiene Ratzinger di conseguenza, non dovrebbe operare una scelta esclusiva fra fede e ragione, fra il suo presunto fondamento (le "radici" di cui tanto si parla) ellenistico e il suo presunto fondamento cristiano, ma può ritrovare in entrambi, anzi deve ritrovare nella combinazione e nella conciliazione fra entrambi, il proprio principio fondativo. L'Europa è cristiano-ellenistico, secondo Ratzinger. Non è o cristiana o ellenistica. Non è o fondata sulla fede o sulla ragione. I due aspetti devono andare di pari passo. Un'Europa cristiana è un'Europa ragionevole. 
È un discorso da teologo, rispettabile. E come tale degno di attenzione e di ascolto. Più o meno condivisibile, certo, ma non sul piano dell'ideologia, bensì della cultura: ovvero della prospettiva accademica di un suo eventuale sviluppo. Il fatto che per svolgere tale ragionamento Ratzinger si sia servito di una citazione medievale e di una menzione all'islam – pronunciata per di più da un imperatore bizantino del 1300 (sic!) – è del tutto irrilevante. Di più: se siamo giunti a ritenere rilevante e offensivo questo genere di citazione allora una certa forma di islam inquisitorio ha già vinto. Era in pareggio con Rushdie (che tutti difendevamo) e ora è passato in vantaggio su un occidente diventato pavido al punto da non difendere più né i propri scrittori né il proprio Papa né la propria libertà di critica.
Tanto più che la citazione in questione affermava un fatto vero. E cioè che «Maometto ha portato la direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava». O vogliamo affermare che l'islam si è diffuso nel mondo soltanto attraverso i fiori, le belle parole e i cioccolatini? No di certo. (E qui, caro Ratzinger, sarebbe ora che anche la Chiesa pronunciasse il suo mea culpa; aldilà delle belle digressioni teologiche il cristianesimo si è macchiato dello stesso colpevole sangue dell'islam).
Certo, offensivo è certamente, se preso fuori contesto, quel durissimo «Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane» pronunciato da Manuele II. Ma proprio su questa durezza dobbiamo riflettere, e sul diritto di reagirvi come ha reagito parte del mondo musulmano nonostante il Papa non solo non abbia sottoscritto tali parole ma le abbia anzi stigmatizzate con quell'eloquente «brusche al punto da stupirci». Secondo questo presupposto censorio, infatti, dovremmo impedirci di menzionare la presenza di Maometto nell'Inferno di Dante o – come è successo a Berlino – censurare un'opera di Mozart perché presenta una scena blasfema di teste mozzate di profeti (compreso Maometto). Ma stiamo scherzando? Interrompere il dialogo con il cristianesimo per una citazione infelice? Sottintendere un'identità di vedute in una mera citazione di seconda mano? Ma a quale diritto ricattatorio stiamo accondiscendendo? Dovremo in futuro proibirci ogni forma di esercizio critico – foss'anche indiretto ed educato – se rivolto all'islam?
E poi, posto che la lezione di Ratzinger, pur essendosi svolta in un contesto accademico, esuli dal suo ruolo di Papa, chi ha detto che era rivolta contro l'islam? Il suo messaggio centrale era rivolto all'occidente, a certa "ultraortodossia" razionalistica occidentale che vorrebbe negare la sintesi possibile fra fede e ragione e affermare così una possibile "irragionevolezza" nell'agire del credente. È contro questa "irragionevolezza" che Ratzinger muove le sue argomentazioni – non contro l'islam.
Se questo è il contesto, dunque, che diritto hanno dei musulmani di intervenire con tale sdegno per una citazione marginale su un tema che non riguarda specificamente l'islam? Che diritto hanno di estrapolare quella citazione e presentarla come un attacco all'islam? Vogliamo entrare nelle moschee dei loro venerdì e registrare le migliaia di prediche – istituzionali, ufficiali, pubbliche – insultanti il cristianesimo, l'ebraismo, l'occidente, la laicità, l'ateismo, il sionismo e in genere la depravazione occidentale? Vogliamo offenderci anche noi finalmente invece di fare spallucce? O il principio delle reciprocità non ci interessa più? Vogliamo finalmente estrapolare i milioni di insulti che piovono dal comune modus pensandi del musulmano medio nei confronti del nostro malandato occidente?
Oltretutto, estrapolando quella singola citazione medievale, i musulmani distorcono deliberatamente il significato della citazione e caricano il messaggio del Papa di un'intenzione anti-islamica che non aveva affatto. (Sarebbe come dire che anti-islamico è tutto ciò che allude ad eventuali aspetti discutibili – da cui il sostantivo "discussione" – dell'islam o di chi se n'è fatto interprete). Di più, così facendo si arrogano il diritto di interferire in faccende che non sono di loro competenza, obbligando a delle chiarificazioni e pretendendo scuse che non avrebbero alcuna legittimità di pretendere, tantomeno dopo il rammarico per il fraintendimento espresso a chiare lettere dal Papa in più di un'occasione.
Interrompere il dialogo con la Chiesa di Roma per negoziarne una riapertura in nome del rispetto dell'islam come è accaduto a Castel Gandolfo mi sembra un abuso della disponibilità occidentale al dialogo.
Oppure, ripetiamolo: se tale legittimità di pretendere ritrattazioni dovessimo riconoscere ai musulmani, allora che sia almeno reciproca. Per esempio, l'islam nega che Gesù sia figlio di Dio e non certo in modo indiretto – durante qualche lectio magistralis occasionale – ma nella quotidianità del suo discorso religioso. "Gesù non è figlio di Dio" dice chiaro e tondo. Dichiarazione che rappresenta, quantomeno, un'offesa alla sensibilità cristiana. E allora, per logica di reciprocità, dovrebbero forse i cristiani pretendere che i musulmani censurino quella frase (e molte altre) dal loro vocabolario? Sarebbe assurdo. Sarebbe come pretendere che chiunque voglia affermare una propria verità debba proibirsi di respingere civilmente, cioè di contestare civilmente, quelle altrui. Milioni di persone hanno contestato alla Chiesa il rifiuto della contraccezione: non per questo la Chiesa ha preteso delle scuse. Semmai ha preteso un dialogo e un confronto. O altrimenti dovrebbero i buddisti sentirsi quotidianamente offesi dalle religioni trascendenti, i politeisti dal monoteismo, le religioni più antiche da quelle più recenti e via elencando? Insomma, secondo questa logica di intolleranza alla critica (poiché di questo si tratta, non di citazione impropria: il problema non è in quello che dice Ratzinger ma in come vi reagisce il mondo islamico) nessuno avrebbe più il diritto di affermare nulla che riguardi gli altri. La libertà di espressione, di critica, di giudizio, di dibattito, di confronto – e tutto ciò significa la libertà tout court – sarebbero compromesse.
Immaginate se con lo stesso spirito con cui hanno reagito gli oltranzisti del mondo musulmano avessero reagito i veri bersagli del Papa: i razionalisti, gli atei, gli ellenistici e gli anticlericali. Le piazze d'Italia e d'Occidente avrebbero dovuto riempirsi di marxisti, comunisti, illuministi, materialisti e via dicendo che, brandendo l'Enciclopedia di Voltaire e le tre "critiche" di Kant, si fossero lanciati offesi a scandire: "A morte il Papa!". Sarebbe ridicolo. E se questo tipo di reazione proviene da parte islamica... non è forse più ridicolo? Possibile che un discorso che dovrebbe (semmai) offendere chi difende a spada tratta la Ragione finisce per scatenare l'ira dei musulmani? Dove arriveremo di questo passo? Fra un po' cos'altro ci sarà proibito? Cos'altro non sarà più ammissibile? Cos'altro dovrà sparire dalla nostra libertà di ragionamento? Affermare che il pugile musulmano Mohammad Ali usava i pugni sarà considerata un'affermazione anti-islamica?
Ci sono due tipi di rispetto per gli altri: quello liberale e quello illiberale. Rispettare nella libertà di esercitare un discorso critico verso gli altri si chiama rispetto liberale. Rispettare solo a patto che nessuna critica venga espressa si chiama rispetto illiberale e riporta al pensiero funesto auto-da-fé. Io spero vivamente che si esca da questo pantano in cui si pretende di identificare il rispetto con l'ossequio e la sudditanza. E non si dimentichi che fino a qualche tempo fa la pretesa di questo tipo di rispetto incondizionato la chiamavamo, con il coraggio di farvi fronte anche a pugni, "fascismo".

Pubblicato il

27.10.2006 05:00
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