Ultimamente sono stato in diversi paesi del Centro America, cominciando dal Messico e finendo in Nicaragua. Su alcune delle esperienze vissute avrò occasione di ritornare nei prossimi numeri: penso alle manifestazioni studentesche in Messico, per protestare contro il rapimento e il probabile assassinio di 42 loro compagni, e alla violenza che domina nella regione (salvo in Nicaragua) come conseguenza del narcotraffico, penso alle conseguenze letali (nel vero senso della parola) del dominio della medicina privata soprattutto in Guatemala e in parte in El Salvador. Ma per ora mi limito al tema che sta dominando l’attualità: l’ebola.


All’Istituto Tumori di città del Messico la dottoressa Volkow (pronipote di Trotsky) mi ha detto: «L’ebola dimostra le sconvolgenti disuguaglianze che dominano in questo mondo». Il suo bisnonno sarebbe stato fiero di lei! Proprio in quei giorni le catene televisive americane parlavano ininterrottamente dell’unico decesso avvenuto negli Stati Uniti (oltretutto dovuto al fatto, come ho saputo da fonte assolutamente sicura, che la vittima è stata ricoverata in ritardo dopo essere stata rifiutata da un primo ospedale in quanto sprovvista di copertura assicurativa) a confronto del quale i 4.000 e più morti già registrati in Africa occidentale non contavano. Forse anche per questa sproporzione mediatica, in tutta la zona prevaleva una reazione quasi isterica.

 

I vari presidenti e ministri della salute si riunivano a ritmo quasi giornaliero. Il fatto che questa epidemia virale dall’alto tasso letale stia minacciando anche i ricchi paesi occidentali ha almeno avuto una conseguenza positiva: sinora i giganti farmaceutici non si erano dati molto da fare per trovare rimedi che potessero essere utili. Tanto i poveri dei paesi africani, che sinora erano stati le uniche vittime, non avrebbero mai avuto i soldi per comprarseli. Ora invece le cose cambiano…


Ma l’aspetto che vorrei soprattutto sottolineare è l’intervento, ancora una volta esemplare, di Cuba. Già ai tempi del terremoto ad Haiti l’intervento cubano era stato il più efficace e ancora dopo anni le valutazioni fatte da esperti indipendenti, tra cui il nostro Dick Marty, hanno sottolineato come l’aiuto di medici cubani continuava a essere il contributo di gran lunga più significativo e utile per la popolazione haitiana.


Cuba è stata la prima a inviare circa 200 medici in Liberia e in Sierra Leone. Lo riconosceva con un editoriale dal titolo clamoroso “Il ruolo impressionante di Cuba nel combattere l’ebola”, addirittura il New York Times del 20 ottobre. In questo editoriale si sottolineava come i medici cubani, pur sapendo a quali pericoli si esponessero, erano gli unici ad aver il coraggio di recarsi sul posto in modo coordinato per affrontare l’epidemia e le sue conseguenze. L’editorialista terminava domandando “alle forze militari (!) americane presenti sul posto di coordinarsi con i medici cubani per rendere ancora più efficace tutta l’operazione”. Nello stesso editoriale venivano citati tutta una serie di interventi simili effettuati dai medici cubani negli anni scorsi, ricordando anche l’offerta di aiuto che era stata fatta agli Stati Uniti al tempo dell’uragano Katrina su New Orleans.

 

Pochi giorni prima lo stesso New York Times aveva chiesto a gran voce la fine del blocco economico contro l’isola caraibica. All’aeroporto di Miami ho avuto l’occasione, aspettando la coincidenza per Milano, di divertirmi leggendo, nel vari quotidiani locali di lingua spagnola, le polemiche suscitate da questo tema tra le varie tendenze dell’immigrazione cubana in Florida. Sembrerebbe che addirittura la maggioranza sia ora non più ostile alla fine del blocco economico, per cui anche il timido Obama potrebbe finalmente fare qualcosa di utile e cominciare a levarlo.

Pubblicato il 

23.11.14

Edizione cartacea

Nessun articolo correlato