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Crollo del Credit Suisse: la discrezione del mondo accademico

Perché gli accademici non hanno fatto di più per analizzare il previsto crollo del Credit Suisse? Ad un anno dalla fine della storica banca elvetica, Marc Chesney, professore di matematica finanziaria all'Università di Zurigo, ipotizza che ciò possa dipendere dal fatto che alcune sponsorizzazioni influenzano il loro lavoro.

Un aspetto in particolare è rimasto nell'ombra. Si tratta della riluttanza del mondo accademico della finanza a parlare pubblicamente delle cause e dei responsabili della debacle del Credit Suisse. Con qualche eccezione, è prevalso il silenzio radio. Prima, durante e dopo il crollo, gli articoli degli specialisti accademici sono stati rari. È sorprendente che la scomparsa della seconda banca svizzera non abbia suscitato una maggiore reazione e riflessione da parte loro. Eppure avrebbero dovuto prendere posizione, se non altro per rispetto dei contribuenti che li finanziano in larga misura.

 

Nella maggior parte dei campi scientifici, molti accademici producono analisi in risposta alle domande e alle preoccupazioni del pubblico. Quando si verifica un terremoto, i sismologi danno la loro opinione. La pandemia di corona virus ha generato frequenti interventi mediatici da parte degli epidemiologi. Il riscaldamento globale è regolarmente documentato dagli scienziati del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (GICC), che rendono pubbliche le loro analisi. Ecco che invece, dopo che il Credit Suisse è scomparso a seguito di una lunga serie di affari opachi e dubbi, gli specialisti universitari si distinguono per la loro discrezione. La loro presenza sui media è limitata. Ed è un peccato. In linea di principio, avrebbero potuto arricchire i dibattiti.

 

Eppure in Svizzera i professori di finanza non mancano. Lo Swiss Finance Institute conta più di 75 professori affiliati, tra cui circa 25 professori senior titolari di una cattedra, senza contare quelli che non hanno alcun legame con l'istituto. Qual è il motivo di questa assenza, di questa mancanza di analisi obiettiva di una crisi come questa? Si tratta di un conflitto di interessi, di una “cattura cognitiva” del mondo accademico che si allinea alle opinioni delle grandi istituzioni finanziarie?

 

Il concetto di università di Wilhelm von Humboldt (1767-1835) è associato allo spirito dell'Illuminismo e promuove un approccio scientifico indipendente da interessi economici estranei ai suoi obiettivi. L'università deve consentire agli studenti di acquisire le competenze disciplinari e le capacità analitiche necessarie per sviluppare uno spirito critico e conquistare l'autonomia, che è essenziale per il funzionamento democratico di una società. Nel contesto che ci interessa, il valore e l'importanza dei professori non dovrebbero essere giudicati in base alla loro utilità per il settore finanziario, ma piuttosto in base alla loro capacità scientifica di impegnarsi nel dibattito pubblico e di lavorare per il bene comune.

 

Questa inibizione da parte del corpo accademico corrisponde piuttosto a un tipo di università imprenditoriale, finanziata dal settore privato, che tratta i suoi studenti come clienti e che è concepita come una fabbrica che riproduce conoscenze tecniche al fine di promuovere la performance economica? Non proprio, visto che, da un lato, è difficile parlare di performance dopo la debacle di Credit Suisse e, dall'altro, le università prese in considerazione sono pubbliche.

 

Sembra che ci troviamo di fronte a un altro tipo di modello, vantaggioso per le aziende o le fondazioni sponsor che lo promuovono. Non assumendosi i costi dell'istruzione e della gestione, i loro finanziamenti, sempre che esistano, si limitano alle integrazioni salariali versate ad alcuni professori in modo poco trasparente. L'istruzione e la ricerca vengono così indirizzate in una direzione che risponde a determinati interessi privati. La sigla del donatore rischia addirittura di essere apposta su diplomi il cui costo è a carico del contribuente. Le università sono così incoraggiate ad essere all’ascolto dei rappresentanti del settore finanziario e ad orientare la ricerca in base alla loro agenda. Il pensiero critico diventa così difficile, soppiantato dalla capacità di riprodurre competenze tecniche. Queste ultime dovrebbero a loro volta essere aggiornate, poiché non tengono realmente conto delle instabilità permanenti del sistema finanziario e delle sue ripercussioni sociali.

 

I conflitti d'interesse e l'omertà di coloro che beneficiano di certe agevolazioni sono insiti in questo tipo di struttura. La formattazione delle menti che ne deriva è incompatibile con la libertà accademica. Dobbiamo quindi aprire il dibattito su questi temi e garantire che l'analisi critica abbia il posto che le spetta nelle università.

Articolo originale in francese pubblicato da Le Temps il 19 marzo 2023: https://www.letemps.ch/opinions/debats/debacle-de-credit-suisse-la-discretion-du-monde-academique

 

Traduzione: area - Federico Franchini

Pubblicato il

20.03.2024 10:44
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