«Erdogan sta usando la crisi diplomatica per motivare i nazionalisti turchi a votare a favore del suo referendum», ha spiegato ad area Levent Cakir, giornalista del periodico Atilim e membro del comitato direttivo europeo di Hdk (Congresso democratico dei popoli). «Ma l’Europa questa volta potrebbe davvero scaricare il presidente turco dopo il voto», ha aggiunto. A poche settimane dal referendum costituzionale del 16 aprile che potrebbe estendere i poteri del presidente Recep Tayyp Erdogan, il clima in Turchia è di nuovo incandescente. Dopo il golpe fallito del 15 luglio scorso e le decine di migliaia di epurazioni decise dalle autorità turche, gli elettori sono chiamati a decidere su una riforma presidenzialista che potrebbe permettere a Erdogan di rimanere al potere fino al 2029, di nominare i ministri e metà dei giudici costituzionali. E la serratissima campagna elettorale questa volta si svolge anche tra le comunità della diaspora turca in Europa. La cancellazione dei comizi di ministri e politici turchi, stabilita da Olanda, Austria, Danimarca e Germania, ha causato vere crisi diplomatiche bilaterali con Ankara. Il presidente Erdogan ha lanciato accuse di «nazismo» contro le autorità di questi paesi e disposto la chiusura dell’ambasciata olandese ad Ankara. «L’Occidente ha mostrato il suo vero volto: una lampante dimostrazione di islamofobia», ha tuonato Erdogan. Il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ha invece potuto tenere a Metz, in Francia, il comizio a favore delle riforme. Ma anche le autorità francesi hanno criticato le dichiarazioni di Erdogan. Proprio il voto dei turchi all’estero può essere decisivo, se gli elettori in patria dovessero spaccarsi in due in merito alle riforme proposte dal leader del partito Giustizia e Sviluppo (Akp). Un comizio che era previsto domenica scorsa a Zurigo è invece stato “rinviato” a tempo indeterminato, dopo che l’albergo dove avrebbe dovuto soggiornare il ministro si è rifiutato di accoglierlo per motivi di sicurezza. Ma le tensioni non si fermano qui. Continua la repressione della stampa. Poche settimane fa è stato arrestato il corrispondente di Die Welt in Turchia, Deniz Yucel. La cancelliera Angela Merkel ha definito l’arresto una misura «sproporzionata». Yucel è accusato di propaganda terroristica e sedizione. Aveva reso note email, pubblicate da hackers turchi, inviate dal ministro dell’Energia e genero del presidente, Berat Albayarak. Merkel aveva puntato sull’accordo con Ankara sui flussi migratori e visitato il presidente turco all’inizio dell’anno. E la guerra non si ferma sul confine turco-siriano. L’esercito turco ha fatto sapere che 71 combattenti delle Unità di protezione maschile (Ypg) e del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) sono stati uccisi in Siria. Ankara ha usato l’operazione “Scudo dell’Eufrate” per trasferire in Siria la sua guerra contro la minoranza curda che vive in Turchia. Anche le Nazioni unite hanno accusato Ankara di violare i diritti umani nelle operazioni di guerriglia nel sud-est del paese. Infine, i leader della sinistra filo-curda (Hdp) non potranno fare campagna elettorale. Figen Yuksekdag, co-leader del partito, è stata condannata per terrorismo e ha visto decadere il suo seggio parlamentare. Il leader Selahattin Demirtas è stato condannato a cinque mesi per avere insultato lo Stato, la nazione e le istituzioni turche.
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