Crimini, giovani e passaporto

Nei giorni scorsi ha fatto molto discutere il caso di una dozzina di ragazzi del quartiere Seebach di Zurigo che hanno violentato una scolara tredicenne, compagna di scuola di almeno quattro di loro. I mass media hanno subito sottolineato la nazionalità dei componenti di tale banda di minorenni (uno solo aveva compiuto i 18 anni) arrestati dalla polizia: due serbi, due macedoni, un italiano, un dominicano, un bosniaco e ben sei svizzeri. Svizzeri? La domanda è legittima, in un quartiere dove la stragrande maggioranza della popolazione è straniera. Perché tale proporzione dovrebbe cambiare proprio in una banda di ragazzi particolarmente irrequieti?

In effetti si tratta di ragazzi stranieri naturalizzati, cioè in possessso di una doppia cittadinanza. Questo particolare ha scatenato la demagogia della destra populistica, che sfrutta ogni occasione per denunciare la "criminalità degli stranieri". A rendere apparentemente più preoccupante la situazione, nelle ultime settimane si sono accavallate diverse notizie relative ad episodi di violenza (nei Grigioni, a Ginevra, a Thun, a San Gallo) che vedevano implicati adolescenti e persino bambini, stranieri o con doppia cittadinanza. Christoph Blocher, come suole fare regolarmente in questi casi, ha dimenticato la responsabilità che ricopre a livello di governo e si è lanciato a capofitto nel suo ruolo di capopolo.
«Vedo già gli specialisti psicologizzare e trattare con delicatezza questo fatto impressionante», ha detto il consigliere federale Udc in un'intervista ad un settimanale svizzero-tedesco. Secondo lui, si cerca di giustificare questi giovani violenti perché provengono da altre culture. Alla punizione si tende a sostituire la terapia, cosicché questi giovani non si rendono conto di aver fatto qualcosa di proibito. Che in Svizzera gli stranieri costituiscano un problema, secondo il ministro di giustizia e polizia non si può negare: «A procurarci problemi sono spesso giovani stranieri e naturalizzati».
Blocher ha lamentato anche la scarsa severità delle procedure di naturalizzazione, le cui autorità non hanno diretto accesso agli archivi della polizia e devono accontentarsi di un certificato di buona condotta. E poi, i delitti compiuti sotto i 15 anni d'età non vengono trascritti nel casellario giudiziale. E qui il capo dell'Udc ha piazzato la sua proposta: «In un caso grave la cittadinanza dovrebbe essere tolta ad un giovane straniero. All'occorrenza, tale persona dovrebbe lasciare il Paese, e con lui eventualmente l'intera famiglia».
Il suo collega di governo, Pascal Couchepin, gli ha voluto replicare a modo suo: «Razzismo, fatti drammatici: tutto viene sfruttato a fini politici. Pian piano questo mi sta stufando». E poi: «È catastrofico reagire a tutto con degli slogan. Questo lo fanno solo i demagoghi». Sui fatti di Seebach, Blocher se la prende con gli stranieri, ma il ministro radicale vallesano replica che «la politica degli stranieri è solo un aspetto, e non il più importante, di un complesso problema sociale». Ma Blocher e l'Udc continuano imperterriti, se fa loro comodo, ad ignorare dati ufficiali, leggi, diritti e sentenze. È capitato, per esempio, con la campagna di propaganda dell'Udc per l'abolizione dell'articolo del codice penale che punisce le espressioni di razzismo. E capita ancora con Blocher che parla di misure severe contro i giovani criminali stranieri, ma finge di ignorare (proprio lui, ministro di giustizia e polizia) che le statistiche segnalano da tempo una diminuzione delle violenze sessuali compiute dagli adolescenti e confermano la costante proporzione della criminalità dei giovani stranieri sul totale. Il 27 ottobre, pochi giorni prima che scoppiasse il caso di Zurigo-Seebach, il quotidiano Nzz segnalava infatti un «costante basso livello» dei casi di violenza sessuale consumata da adolescenti, citando le cifre dell'Ufficio federale di statistica (Ufs).
Per il cantone di Zurigo, per esempio, l'Ufs riporta che nel 2005 un solo adolescente è stato condannato per stupro. Nei sei anni precedenti si sono avute due volte 2 condanne (nel 2004 e nel 1999), un'altra volta una sola condanna (nel 2003) e tre volte nessuna condanna (2000, 2001, 2002). Ne consegue che in media negli ultimi sette anni nel cantone di Zurigo sono stati condannati per stupro meno di un adolescente all'anno. Queste cifre, constata la Nzz, sembrano contrastare con le notizie secondo cui la criminalità giovanile è in aumento da anni; ma tale crescita viene attribuita dal magistrato dei minorenni prevalentemente a delitti come i furti, i danneggiamenti materiali, gli scippi, le violazioni delle norme della circolazione. Inoltre, se si considerano i delitti sessuali in senso ampio, il 1985 ha fatto registrare un numero di condanne giovanili molto maggiore delle 51 che si sono avute nel 2004, che pure è stato un anno eccezionale a confronto dei precedenti, in cui il numero delle condanne oscillava tra 16 e 26.
Le polemiche comunque non sono alimentate soltanto da Blocher. A destra c'è tutta una galassia di interventi (per esempio sulla Weltwoche n. 47) che creano allarme intorno alle scuole ed agli adolescenti stranieri. Ma anche a sinistra qualche preoccupazione si fa sentire, e forse anche qualche timido accenno di autocritica. Proprio questo sabato 2 dicembre l'assemblea dei delegati del Pss deve discutere a Muttenz un documento del partito sull'integrazione (cfr. area n.45 del 10 novembre). Tale documento vuole definire non solo i diritti, ma anche i doveri degli stranieri (imparare la lingua, rispettare la legalità...) al fine di una buona integrazione. Nel partito c'è però chi non accetta che vengano imposte simili "gabbie" agli immigrati: l'integrazione può seguire percorsi diversi, meno costrittivi e più umani. Così sono fioccate le proposte (110) di modifica del testo, e il dibattito ha preso quota.


"Bisogna agire a monte"

Nella scuola non manca chi, a proposito della violenza tra gli adolescenti stranieri, è disposto a fare autocritica. Anche tra gli insegnanti di sinistra. Per esempio Alain Pichard, docente di scuola media a Bienne e membro del sindacato Vpod, ha dichiarato al Sonntagszeitung di «rimproverare alla sinistra, ed in parte ai responsabili dei migranti, di aver troppo a lungo bagatellizzato e rimosso questo problema». È proprio così? Lo chiediamo a Guglielmo Grossi, segretario del sindacato Unia a Berna, membro della direzione del Forum per l'integrazione delle migranti e dei migranti, ex-presidente delle Colonie Libere Italiane, una vita dedicata ai problemi degli immigrati, di cui continua ad occuparsi sia nel sindacato (è membro della Commissione nazionale Migrazione di Unia), sia nel Ps bernese.

La preoccupazione non è che venga rimproverato alla sinistra di non aver preso abbastanza sul serio la cosa, ma che questi fatti di delinquenza giovanile ci sono ed aumentano in modo inquietante. Però, quello che nessuno può contraddire è che questi fatti si verificano nelle famiglie socialmente  disagiate. Anche svizzere. Infatti, se si guardano le statistiche, due terzi dei giovani condannati sono svizzeri e un terzo stranieri.
Allora, nessuna autocritica?
Non credo che vi siano i margini per un'autocritica. Sono convinto che è bene che si prendano misure per migliorare le possibilità d'integrazione di queste famiglie, però queste misure vanno prese in modo preventivo: l'integrazione non si raggiunge in un anno, ma in una generazione. Ora, l'impegno dei sindacati per le politiche d'integrazione c'è: il sindacato fa moltissimo soprattutto affinché migliorino le condizioni economiche delle famiglie. E lo fa lottando per i minimi salariali e per elevare le condizioni di lavoro minime.
Questi sforzi, però, sembra vengano annullati da un "effetto ghetto". Colpa della scuola, dell'educazione, del "gap" generazionale?
Ci sono un po' tutte queste componenti. Penso che questo tema meriti di essere dibattuto, perché è un compito generale della società, a partire dai genitori nel campo della funzione educativa. Però non come l'Udc, che fa di questa discussione uno strumento di campagna elettorale e cerca non il modo di "guarire" questi giovani, ma il modo di metterli al bando. Sono obiettivi che la sinistra non può condividere: deve trattare il problema con correttezza, anche se ciò comporta qualche perdita in termini di consensi elettorali.
La scuola e la famiglia devono trasmettere dei valori. Quale delle due istituzioni non lo fa bene?
Temo, tutt' e due. Però è chiaro che il primo impulso negativo viene dalla famiglia, anche perché troppe famiglie non hanno il tempo libero da dedicare all'educazione dei loro figli, che spesso si ritrovano sui marciapiedi, in giro, in gruppi dove tutti sono in analoghe situazioni di disagio. La scuola, invece, è il luogo dove i valori potrebbero essere portati in modo strutturato, ma qui bisogna capire quanto questo sia possibile, quanto gli insegnanti siano stati formati anche per la trasmissione di questi valori.

Pubblicato il

01.12.2006 01:00
Silvano De Pietro