Costruire l'unità. Considerazioni dal Cgil lombardo

Mario Agostinelli è il segretario generale della Cgil lombarda, il sindacato più forte nella più importante regione italiana. È un uomo di sinistra, curioso e attento ai cambiamenti. E questa sua apertura, il suo sforzo di mettere a confronto e far interloquire le diverse anime della Cgil anche nei momenti in cui la tendenza alla rottura è più forte di quella all’unità — come avviene oggi — gli ha procurato più di un grattacapo nella sua organizzazione. Si colloca in modo critico e autonomo nell’area di sinistra dell’Ulivo ed è uno dei pochi dirigenti sindacali che partecipa ai dibattiti di Rifondazione comunista, come per altro alle riunioni di Mani tese. Abbiamo scelto Agostinelli per cercare di capire la differenza che corre tra la cultura e la proposta politica di Berlusconi e del suo pollaio (ci si perdoni l’espressione, ma nel corso di questa durissima campagna elettorale la personalizzazione dell’unico gallo della Casa delle libertà ha preso il sopravvento su tutto e tutti) e la cultura e la proposta del centrosinistra. Mario, pensi che anche la sinistra abbia alzato troppo i toni, oppure la vittoria elettorale di Silvio Berlusconi metterebbe davvero a rischio le basi della nostra democrazia? "Quel che è in discussione, e a rischio nel caso della vittoria di Berlusconi, è il carattere di democrazia sociale che è costitutivo della democrazia italiana. Da noi le organizzazioni sociali concorrono alla costruzione del modello democratico. Il programma della destra colpisce al cuore i diritti sociali collettivi, e non è un caso se Berlusconi fin dall’inizio della campagna elettorale promette di cambiare la prima parte della Costituzione. E aggiunge: chi vince, la maggioranza, prende tutto. Ai cittadini chiede di firmare una cambiale in bianco e al tempo stesso assolutizza la personalizzazione, cosicché una volta stipulato il contratto con l’uomo della provvidenza i cittadini per cinque anni non conteranno più niente, saranno solo spettatori e lui il proprietario delle tv. E questo è il primo aspetto inquietante". E il secondo? "È prettamente politico, e non va trascurato: nella pratica della destra l’arco costituzionale su cui è cresciuto il paese per più di mezzo secolo viene infranto e il carattere antifascista che ha dato la luce e i connotati alla repubblica italiana è superato. Solo per fare un esempio, voglio ricordare l’alleanza di fatto della Casa delle libertà con organizzazioni apertamente fasciste come Forza nuova (ricordate la bomba di Natale al "manifesto"? n.d.r.), o la Fiamma tricolore (quella del repubblichino di Salò Pino Rauti, n.d.r.). E ci tocca di sentire che non c’è nessuna differenza tra i comunisti e i fascisti". A rischio è la Costituzione, ma è a rischio anche lo Statuto dei lavoratori… "Berlusconi ha stretto un’alleanza forte con la Confindustria, la principale organizzazione padronale italiana che ha bloccato il rinnovo dei contratti. Questo blocco che va avanti da mesi crea le condizioni per sostituire la contrattazione collettiva con i contratti individuali. Ma è l’azione collettiva a garantire le libertà sindacali. La consonanza con questa pratica di Confindustria è evidente, Berlusconi punta apertamente sui contratti individuali, ad personam. E veniamo al superamento dell’articolo 18 della Costituzione, quello che prevede la giusta causa per il licenziamento in aziende con più di 15 dipendenti: la libertà assoluta di licenziare si raggiunge attraverso la cancellazione del soggetto collettivo che può agire il ricorso contro il licenziamento, e cioè il sindacato. Oggi il ricorso al lavoratore non costa nulla perché è garantito dal sindacato, in assenza del quale viene di fatto a cadere la possibilità di autodifesa, anche per motivi economici. Sostituire i contratti collettivi con quelli individuali, destrutturare la pratica collettiva, insomma: la giungla". Tu hai ragione, ma non è che il centrosinistra si sia battuto come un leone nella difesa dei diritti collettivi. Piuttosto, si ha l’impressione che la cultura liberista, per quanto "moderata" e "regolamentata", si sia aperta una breccia anche nello schieramento che dovrebbe rappresentare e tutelare i lavoratori. "È vero, è stata accettata la centralità della cultura dell’impresa che offusca il lavoro come soggetto generale. Sta passando anche a sinistra una sorta di mediazione rispetto alla tutela dei diritti collettivi. Nel corso della legislatura si è abbandonata, anche da parte dei Ds, la battaglia per una legge che garantisca la rappresentanza sindacale e per regolamentare i lavori atipici. Così si afferma il primato dei rapporti economici, nel senso che il mercato diventa il regolatore dei rapporti di lavoro. E ancora, il centrosinistra dissocia il diritto al lavoro dalla sua stabilità, negando il principio che il diritto al lavoro non è temporaneo, un diritto di cittadinanza non può essere intermittente. In questo modo si finisce per perdere il riconoscimento sociale del lavoro, fino ad assumere l’idea che ciò che conviene all’impresa conviene anche al lavoro. E restando ai diritti, non può non preoccupare la caduta di interesse, di centralità direi, per la salute, l’ambiente, la natura… Questa tendenza nel centrosinistra è anche — insieme alla sciagurata avventura bellica contro la Jugoslavia — una delle ragioni della frattura a sinistra, con Rifondazione comunista. Sono convinto che il 14 maggio il confronto a sinistra debba ripartire proprio da questi punti. Nella globalizzazione, fatta di concentrazione capitalistica e di disgregazione delle forze di lavoro, la difesa dei diritti collettivi è il tessuto connettivo della ricostruzione della sinistra. È l’insegnamento che ci arriva da Seattle, con un movimento che tende a tenere insieme i diritti dei lavoratori con quelli dei consumatori, un’unità che in qualche misura esisteva in epoca fordista e oggi è andata perduta. Chi consuma pensa, deve pensare a chi quei prodotti ha costruito e in quali condizioni lavora, chi produce pensa, deve pensare ai diritti di chi usufruirà del prodotto del suo lavoro. Io almeno la penso così".   Le gaffes del Cavaliere di Arcore Venerdì vi dico a chi vendo Mediaset. Anzi no, ve lo dico entro i primi cento giorni di governo. Se la campagna elettorale potesse essere prolungata di altre due settimane, forse il sorpasso di Francesco Rutelli si renderebbe possibile. Questo almeno pensano analisti e sondaggisti, secondo i quali le gaffes del Cavaliere di Arcore che si susseguono in modo incalzante favorirebbero lo schieramento di centrosinistra. E alcune previsioni, all’inizio della settimana, davano il sorpasso al Senato per già avvenuto, mentre il distacco alla camera restava favorevole alla destra di quattro punti. "Ho già messo la freccia", è il commento di Rutelli. Il linguaggio berlusconiano, come si vede, ha conquistato tutti e tutti si giocano la disfida elettorale sull’immagine, possibilmente riflessa dal video. Effettivamente Berlusconi sta perdendo la calma, è sempre più nervoso e spara cannonate a sinistra e a sinistra come si trovasse davvero in guerra. Per l’Uomo della Provvidenza, le più importanti testate internazionali che denunciano il conflitto d’interessi e mettono sull’avviso gli elettori italiani rispetto al rischio di buttare il paese fuori dall’Europa, sono "strumentalizzate dai comunisti". L’Economist, i giornali tedeschi, le Monde, el Mundo, Nice matin, vi sembrano giornali comunisti? Berlusconi continua a rifiutare un faccia a faccia con il suo "nemico" Rutelli e lancia strali contro il suo socio ai tempi della Bicamerale, Massimo D’Alema, al punto da spingere l’alleato Francesco Cossiga (che aveva salvato l’Ulivo al tempo della crisi con Bertinotti, portando in soccorso proprio a D’Alema il suo drappello di transfughi) ad abbandonare per protesta la campagna a sostegno della Casa delle libertà. Berlusconi, in compagnia di leghisti e fascisti (puliti e sporchi) è arrivato a chiedere osservatori internazionali perché "i comunisti hanno sempre truccato le elezioni". Tutte le ultime mosse del nervoso Berlusconi spingerebbero gli elettori indecisi ad abbandonare Sua Emittenza. Sarà poi vero? La domanda da porsi è se mezza Italia si schiera a destra per ingenuità, oppure perché il messaggio culturale berlusconiano è passato nel tessuto sociale del paese? Per Berlusconi vota chi guarda le sue tv, chi ha alzato abusivamente un muro in casa sua, chi ha evaso un milione al fisco, insomma chi si identifica con il grande costruttore, il grande evasore, il grande massone (P2), il presidente del Milan, l’uomo che promette di abbattere le tasse ai ricchi e di abolire la tassa sulla successione e sulle donazioni. O si parte dal concetto che gli italiani non sono cretini e scelgono lucidamente, o non si capirà il risultato del voto di domenica 13 maggio. È ovvio che gran parte degli elettori berlusconiani se ne fregano del conflitto di interessi e dunque delle critiche che arrivano alla destra italiana dai giornali stranieri, o dal capitalismo "pulito". Quel che è vero, invece, è che la riproposizione quotidiana della faccia del Cavaliere, i suoi libretti pubblicitari consegnati dalle poste (non saranno efficienti come quelle svizzere, ma "Una storia italiana" è arrivata puntualmente a tutti gli elettori), le sue minacce alla Costituzione e allo Statuto dei lavoratori, la promessa dei suoi alleati (Previti) di non far prigionieri, sta spostando una parte degli astensionisti di sinistra: turarsi il naso e votare il meno peggio, anche chi ha mandato i bombardieri su Belgrado (il governo di centrosinistra con il sostegno della destra), anche chi ha assunto come ineluttabili globalizzazione e neoliberismo. La sinistra potrà scegliere tra il meno peggio e un voto di bandiera a Rifondazione comunista, che presenta suoi candidati al Senato ma non alla Camera (decisione unilaterale del minor danno, per battere la destra). Il Prc è presente invece nelle liste proporzionali della Camera con cui si elegge un quarto dei deputati. Sullo scontro per i sindaci nelle principali città italiane abbiamo scritto la scorsa settimana. Tra gli altri partiti in lizza fuori dai due poli vanno segnalati: "L’Italia dei valori " di Antonio Di Pietro, ex magistrato di Mani pulite ed ex ministro dell’Ulivo, dove era stato eletto in uno dei più rossi collegi toscani; "Democrazia europea" di Sergio D’Antoni, l’ex segretario generale della Cisl sempre più prossimo a Berlusconi; la "Fiamma tricolore" del fascistissimo Pino Rauti che in molte realtà sostiene la Casa delle libertà in seguito a patti sotto banco o alla luce del sole, così come fa "Forza nuova". Tra due giorni si chiuderà la più lunga e velenosa campagna elettorale italiana, e già domenica sera conosceremo l’orientamento degli italiani e delle italiane. E decideremo se è arrivata l’ora di scappare a Lugano. Scherzi a parte e comunque vada, la prima cosa da fare per chi ha a cuore la democrazia sarà una battaglia culturale e politica per ricostruire la sinistra, come suggerisce il segretario della Cgil lombarda Mario Agostinelli, che intervistiamo (vedi articolo sopra) in questa pagina.

Pubblicato il

11.05.2001 04:00
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