Costa Concordia, una metafora sociale

Domenica scorsa a Genova alcune centinaia di lavoratori della Costa Crociere hanno manifestato per rivendicare «l'orgoglio dell'equipaggio». Un modo per dire che chi lavora dentro una nave ha una professionalità, delle regole a cui sottostare, doveri. Temono di essere messi tutti nello stesso calderone del "comandante fellone" che si rifiuta di tornare sulla nave a fare il suo dovere, quello scritto nella più antica legge del mare: il comandante è l'ultimo uomo a lasciare una nave che affonda.
I lavoratori della Costa temono, a ragion veduta, per il proprio futuro poiché lo sciagurato naufragio della Concordia sta producendo un crescendo di cancellazioni di prenotazioni per le crociere future in tutta la flotta della società americana (dei vecchi armatori genovesi che danno il nome alla compagnia resta soltanto una partecipazione di minoranza).

La nave del conflitto sociale

La nave da che mondo è mondo è una metafora: "Siamo tutti sulla stessa nave", lo dice anche il comandante della Fiat Sergio Marchionne quando spiega che nell'era dopo Cristo in cui viviamo non c'è più la lotta di classe perché tutti i naviganti della compagnia sono "sulla stessa nave", e aggiunge "una nave da guerra" dove marinai, inservienti, camerieri, ballerine e padrone hanno lo stesso obiettivo, cioè combattere contro la nave da guerra nemica per conquistare nuove rotte, nuovi mercati.
In qualche modo, e con il rispetto dovuto a tutti i lavoratori "italiani" della Costa Crociere, la manifestazione di domenica a Genova in difesa della compagnia ci ha fatto pensare che il messaggio di Marchionne ha fatto molte miglia sui mari del conflitto sociale.

Il turismo mostruoso

Più in generale, quella balena spiaggiata davanti alla meravigliosa isola del Giglio apre finalmente una riflessione su un tipo di turismo incompatibile con l'ambiente, con la sicurezza e con un'idea non drogata dell'uso del tempo libero.
Un turismo non necessariamente di lusso: i clienti delle crociere sono spesso anche pensionati che per una volta nella vita vogliono fare i "signori" e navigare felici nei sogni proibiti di tutta una vita, applaudendo il capitano che porta trecento metri di nave (300) a cento metri (100) dall'isola incantata per inchinarsi ai suoi marinai.

I capitani della nave Italia

La Concordia è anche una metafora dell'Italia, un paese guidato troppo a lungo da un cantante improvvisato proprio sulle navi da crociera che si è comportato esattamente come il comandante Schettino portando la nave contro gli scogli. Con un'unica differenza: dalla nave che affondava non è scappato ma è stato buttato fuori, purtroppo non dai passeggeri o dall'equipaggio ammutinato, ma da poteri superiori, quelli che lavorano al servizio del dio mercato. Dopo di lui è arrivato un nuovo comandante ancora più unto dal Signore, cioè dal dio mercato, dalla finanza mondiale e dal presidente della Repubblica Napolitano, e promosso in Parlamento dallo schieramento più ampio della storia italiana. Un capitano che sta "risanando" la nave con una cura da cavallo che rischia di ammazzare il cavallo. E di portare una nave in avaria, ma comunque carica di storia e di cultura e di conflitti sociali, contro scogli ancora più pericolosi di quelli che proteggono il mare del Giglio.

Lavoratori di I e II classe

La nave, infine, è metafora della stratificazione sociale. Già in fase di costruzione le mansioni più pesanti e nocive toccano ai dipendenti, preferibilmente extraco-
munitari, delle ditte appaltatrici e sub-appaltatrici che montano e verniciano le stive, mentre il lavoro più professionale è italiano. Le differenze contrattuali – salari, orari, turnistica, previdenza, assistenza sanitaria e pensionistica – sono molto forti. Il cantiere navale è una giungla, il lavoro più difficile per un sindacato è ricostruire, cioè conoscere, l'intera filiera per garantire se non gli stessi diritti a tutti i dipendenti, quanto meno una riduzione delle diseguaglianze e al tempo stesso impedire l'esplosione del dumping sociale tra lavoratori con più diritti e forza lavoro ridotta allo stato di schiavitù.
Sono decenni che la Fiom-Cgil si batte per garantire a tutti i lavoratori di un cantiere contratti italiani, e non quelli dei paesi d'origine.
Lo stesso avviene nel lavoro incorporato dalle navi una volta che hanno preso il mare, dopo la rottura della classica bottiglia di champagne (e se non si rompe, come dicono i marinai e come testimonierebbe il varo mal riuscito della Concordia, sono guai). In una nave battente bandiera italiana come quella che si è infilzata sugli scogli del Giglio vige il doppio contratto di lavoro: uno per i dipendenti italiani e comunitari e un secondo contratto per i lavoratori extracomunitari, che rappresentano la stragrande maggio-
ranza dell'equipaggio.

Doppio registro contrattuale

La ragione di questo doppio trattamento la spiegò a fine anni Novanta il ministro dei trasporti del governo di centrosinistra, Burlando, oggi presidente della Regione Liguria, quando decretò la fine del contratto unico per tutti, a prescindere dal colore della pelle. Gli armatori stavano fuggendo in massa all'estero, a Panama o in altri paradisi fiscali per abbattere costi sociali, evadere imposte e sicurezza sul lavoro e in rapporto all'ambiente. Attraverso l'introduzione del doppio sistema contrattuale, o doppio registro come si dice in lingua marinara, e una serie di agevolazioni fiscali e contributive, agli armatori trans­fughi fu offerta così la possibilità di tornare a far garrire il tricolore sul pennone più alto, spinti dall'abbattimento secco del costo del lavoro. Così l'Italia è tornata a essere competitiva nel settore. A qualcuno il conto del miracolo andava presentato: a chi, se non ai lavoratori, per di più extracomunitari?

Tra crociere e mercantili

I diversi sindacalisti della Filt-Cgil a cui ci siamo rivolti ci hanno precisato che il trattamento riservato ai lavoratori nelle navi della Costa Crociere rappresenta un'eccellenza, sia rispetto a compagnie più piccole, sia soprattutto rispetto alle navi mercantili, dove a mettere il naso nel trattamento dei lavoratori si ha l'impressione di ritornare al Sei-Settecento.
La ragione sta nel fatto che a mitigare in parte la differenza di trattamento tra chi è titolare di un contratto con la Confitarma (vedi Confindustria) e chi invece ha un contratto internazionale stipulato dalla Itf di Londra, ci pensa il contratto aziendale di secondo livello che estende anche agli extracomunitari alcune garanzie, per esempio quelle sanitarie, aggiuntive rispetto al loro «scarno» regime contrattuale. La situazione è decisamente più pesante per i dipendenti di piccole compagnie di navigazione e nei settori adibiti al trasporto merci e nelle petroliere, dove si annebbia ogni forma contrattuale e ancora abbonda l'uso di clandestini, lavoratori fantasma assenti da qualsivoglia registro, sfruttati come bestie, pagati quattro soldi e di cui nessuno sa nulla. Possono anche annegare, nessuno se ne accorgerebbe. Le ultime indagini svolte dagli inquirenti sulla Concordia, però, parlano di clandestini presenti anche nell'eccellenza della Costa Crociere. Non solo amichette degli ufficiali, non registrate ma presenti negli alloggi dei graduati, ma anche di lavoratori non registrati. Un'ipotesi, questa, in corso di verifica nel caso della Concordia.

La discriminazione "naturale"

Se chiediamo ai nostri sindacalisti come si giustifichi il differente trattamento tra due lavoratori, uno bianco e uno con la pelle di un altro colore, che svolgano la stessa mansione, la risposta è sempre la stessa e ci riporta alla stratificazione sociale della nave: italiani o comunitari sono ormai soltanto gli ufficiali, o responsabili di servizi; gli altri che lavorano in cucina, nei bar, nello spettacolo oppure nelle camere senza avere particolari responsabilità, sono soprattutto operai filippini, ma anche indonesiani, indiani, in parte nordafricani e balcanici. Nello spettacolo non mancano quasi mai le brasiliane e i brasiliani con il ritmo nel sangue. Dunque, dov'è il conflitto? Persino il dumping sociale è ridotto al minimo, grazie alla selezione "naturale" effettuata lungo il dipanarsi delle mansioni.
Abbiamo provato a chiedere ulteriori particolari ai sindacalisti della Costa Crociere, ma non è stato semplice ottenere risposte precise. Si può capire che, sconvolti dalla tragedia che ha colpito sia i turisti sia il personale di bordo, impegnati nel tentativo di capire tanto le ragioni del disastro quanto la sorte toccata ai loro compagni, alcuni dei quali ancora dati per dispersi e di decine di nazionalità diverse, non siano in vena di discussioni politico-sindacali sul doppio registro con cui vengono inquadrati i lavoratori di una nave. Che la maggior parte del personale di bordo non specializzato provenga dalle Filippine non deve stupirci: in questo paese sono centinaia di migliaia – si parla di qualcosa come 600.000 – gli «operai» naviganti. E centinaia sono le agenzie di reclutamento del personale da destinare alle compagnie di navigazione italiane, europee, nordamericane, giapponesi. Alcune di queste agenzie sono italiane.

Pubblicato il

27.01.2012 04:00
Loris Campetti