Il 26 novembre voteremo sulla Legge sulla cooperazione con gli Stati dell'Europa dell'Est, base legale della partecipazione svizzera alla lotta contro le disparità sociali ed economiche in Europa. Molti cittadini si chiedono a cosa servirà il miliardo di franchi che la Svizzera investirà in cinque anni nei dieci nuovi Paesi membri dell'Unione europea (Ue). Organizzato da Soccorso operaio svizzero (Sos), un viaggio in Romania, Serbia e Kosovo ci ha permesso di constatare che la Svizzera e i sindacati hanno già accumulato una ricca esperienza nei campi della formazione, del dialogo sociale e della lotta contro la povertà.

Romania: riconvertire 20 mila metalmeccanici
I Paesi nei quali il Sos opera non sono (ancora) membri dell'Ue. Ciò non toglie che diversi dei suoi progetti possono valere come esempio nei nuovi Stati dell'Ue.
In Romania, per esempio, la città di Hunedoara ha vissuto un drammatico processo di desertificazione industriale. Mentre il complesso siderurgico della città era arrivato ad occupare fino a 21 mila salariati, oggi a lavorare nella fabbrica, che appartiene ormai al gruppo Arcelor Mital, il leader mondiale dell'acciaio, sono rimasti soltanto in 2 mila. Il quadro è ancora più scuro se si considera che il numero dei minatori è sceso da 75 mila a 18 mila, che certe città hanno un tasso di disoccupazione dell'80 per cento e che chi è senza lavoro percepisce un'indennità che equivale ad 80 euro al mese.
Un programma del Sos mira ad offrire una prospettiva professionale ai disoccupati riconvertendoli verso altri rami professionali (albergheria, turismo, artigianato, commercio) grazie a corsi di 5 o 6 mesi. In città è attivo un Centro d'informazione e di consulenza. Esso è l'equivalente dei nostri Uffici regionali di collocamento (Urc) e accoglie 3 mila disoccupati all'anno. Attraverso questa via il 25 per cento dei disoccupati ritrovano un lavoro, ciò che è un ottimo risultato, se paragonato al 10 per cento degli Urc svizzeri. Per completezza diciamo che in Romania i disoccupati non sono obbligati a frequentare un centro di consulenza. Il Sos si attiva pure per sorvegliare l'applicazione dei contratti collettivi di lavoro, in particolare nella chimica e nella metallurgia, e ad organizzare il dialogo fra i partner sociali.

Serbia: Odjek, il giornale del dialogo sociale
Anche se, al centro di Belgrado, si ha a volte l'impressione di essere a Parigi o a Milano, tanto i negozi sono ben frequentati, la Serbia è in realtà alle prese con problemi sociali ed economici di incommensurabile ampiezza. Il Paese soffre ancora per la guerra con gli altri Stati dell'ex Jugoslavia e per le sanzioni impostegli dalla comunità internazionale. A causa dell'ondata di privatizzazioni la disoccupazione colpisce il 30 per cento della popolazione attiva e il 47 per cento dei giovani.
Queste condizioni non sono per nulla favorevoli per l'instaurazione di un dialogo sociale, tanto più che gli imprenditori privati sono dei nuovi venuti e che certi dirigenti sindacali credono ancora di essere i satelliti dell'ex Partito comunista. Malgrado tutto il Sos ha scommesso sul sostegno ai partner sociali e stimolando il dialogo attraverso consigli, corsi di formazione continua e piattaforme di scambio. A Kragujevac, la terza città del Paese con i suoi 150 mila abitanti situata a 135 chilometri a sud di Belgrado, questo dialogo ha preso forma in maniera originale. Esso si è infatti instaurato attraverso le colonne del giornale "Odjek" nel quale si esprimono sia gli imprenditori che i sindacati e le autorità locali. Questa esperienza comincia a dare i suoi primi frutti in quanto le trattative – salariali e non solo – fra sindacati e direzioni aziendali si tengono ormai in diverse imprese, ciò che non era il caso prima. «Questo è stato possibile perché a Kragujevac c'è una tradizione sindacale, in particolare nell'industria dell'automobile, e perché l'università ci offre delle competenze», sottolinea Milutin Devic, caporedattore di "Odjek".

Kosovo: combattere contro la più estrema povertà
In Kosovo il programma del Sos oltrepassa il quadro dei rapporti di lavoro. Questo territorio, ancora governato dalla Minuk, la Missione intermedia delle Nazioni Unite in Kosovo, è il meno viziato dei Balcani. Il tasso di disoccupazione è del 50 per cento, e fra coloro che hanno un lavoro, la metà è occupata nel settore informale (lavoratori molto precari, come venditori di frutta in strada o lavatori di automobili). I tre quarti di loro non hanno nessuna copertura sociale. La metà della popolazione vive nella povertà, il 12 per cento nella povertà estrema. Molti sopravvivono grazie ai soldi inviati da coloro che sono emigrati in Svizzera o in Germania. «Durante la guerra», spiega Imer, «la mia casa è stata incendiata due volte dai serbi. Senza i versamenti di mio fratello, che vive in Svizzera, non ce l'avremmo mai fatta a resistere. Oggi faccio tre mestieri per sbarcare il lunario».
Il Sos ha sviluppato un programma che mira a migliorare il reddito delle economie domestiche più povere del ceto agricolo, quelli che hanno più di quattro figli, un reddito mensile di meno di 30 euro e un podere più piccolo di un ettaro. Un'attenzione particolare è riservata alle donne sole e alle minoranze etniche. Fra le realizzazioni vanno citate una miglior organizzazione della raccolta del latte e della sua commercializzazione, che coinvolge i piccoli contadini, quelli che non producono più di 15 litri al giorno, e una cooperativa dei produttori di miele, che garantisce loro un accesso più facile al mercato. Il successo è tale che si sta seriamente pensando di produrre del miele bio, che sarebbe in grado di fornire introiti maggiori.
Queste esperienze non possono che aiutare il Kosovo a progredire verso la sua autonomia economica. Ma il percorso da compiere è ancora lungo. Infatti i rapporti fra la popolazione locale e la Minuk sono molto tesi, e la questione dell'indipendenza non è ancora stata regolata definitivamente. «Rispetto al 2000 sono stati fatti degli importanti progressi», commenta Barbara Burri Sharani, che lavora a Pristina per la Direzione per lo sviluppo e la cooperazione del Dipartimento federale degli affari esteri. E aggiunge: «Ma la situazione socioeconomica rimane molto difficile e spero che l'indipendenza non sia causa di troppe disillusioni».

l'autore è membro della direzione del sindacato Unia e consigliere nazionale socialista

Pubblicato il 

10.11.06

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