Di cosa parla la politica italiana? Di Silvio Berlusconi presidente della Repubblica. No, non siamo a “Scherzi a parte”, il noto show di Canale 5, anche se il contesto del risorgimento del caimano rafforzerebbe l’ipotesi dello scherzo: gli spin doctor del Cavaliere disarcionato – pregiudicato per evasione fiscale, uomo del bunga bunga, l’eroe che salvò dal carcere la “nipote di Mubarak” – sono quell’Antonio Razzi che ha fatto la fortuna di Crozza, Denis Verdini condannato e ai domiciliari per la bancarotta del Credito Fiorentino, Marcello Dell’Utri condannato nei primi due gradi di giudizio per associazione mafiosa. Il centralinista del padrone di Mediaset, di Dudù, Dudina e molto altro è il critico d’arte e telepredicatore Vittorio Sgarbi, è lui che chiama i parlamentari del gruppo misto per convincerli a votare Silvio dicendo “ti passo un amico” e consegna la cornetta all’Unto del Signore. Probabilmente la sua autocandidatura imposta a Salvini e Meloni finirà come per Amintore Fanfani, candidato al Quirinale un secolo fa, passato alla storia per una scheda su cui era scritto: “Nano maledetto non sarai mai eletto”. Ma solo parlarne è umiliante per chi deve raccontare agli amici ticinesi lo stato della politica italiana. Se invece Berlusconi dovesse riuscire a farcela non ci resterebbe che chiedere asilo politico agli amici ticinesi. L’ipotesi, invendibile nell’Europa memore di quando l’Uomo della Provvidenza definì la Merkel, absit iniura verbis, “culona inchiavabile”, è esclusa persino da Sgarbi il contavoti e da Salvini che ha nel cilindro un altro coniglio da estrarre appena il sogno del nano di Arcore dovesse infrangersi contro la realtà. All’ex Cavaliere mancherebbero 50 consensi se tutta la destra lo votasse nel segreto dell’urna e a nessun elettore fosse vietata l’urna per Covid, in un Parlamento ingovernabile dove il 40% degli eletti ha cambiato casacca. Allora chi? La prima àncora di salvezza (il bis di Mattarella) è stata tagliata dall’interessato e sembrano inutili gli appelli quasi bipartisan. La seconda àncora è ben posizionata nella sabbia e risponde al nome di Mario Draghi che deve decidere se è meglio restare a Palazzo Chigi nella tempesta per un annetto a pilotare il Pnrr, o puntare come preferirebbe al settennato mettendo come premier un suo sbiadito sosia. Ipotesi che non piace a Berlusconi che minaccia l’uscita dal governo e vuole essere se non il presidente il kingmaker. Ma anche Salvini punta a ricoprire lo stesso ruolo e giura fedeltà a ogni governo futuro, specie se sarà lui a fare il ministro dell’interno affoga-migranti; Meloni è alla ricerca di un patriota. I nomi che si fanno a destra sono sconfortanti: il laico devoto Marcello Pera, l’immarcescibile Letizia Moratti, il semi-berlusconiano Franco Frattini o al limite la ciellina Marta Cartabia o il trasformista Pierferdinando Casini. Il Pd con Letta si limita a dire: unità nazionale, scegliamo un nome tutti insieme ma fuori gioco quello sceso in campo nel 1994 per affossare Costituzione e Statuto dei lavoratori (poi sostituito nel compito da Renzi). I 5 Stelle, scioccati da un’inchiesta sul traffico di danari tra Grillo e l’armatore della Moby, sono nella confusione. Tra i nomi biascicati dai peones pd Paolo Gentiloni, addirittura Giuliano Amato, con Dario Franceschini che sgomita. 40 parlamentari di sinistra lanciano un appello condivisibile per Marcello Maddalena, qualcuno per Rosy Bindi. Ma al momento i sondaggi suggeriscono Draghi, la repubblica presidenziale e la morte della politica. Questo lo stallo della politica italiana. Così attraente e partecipativa che domenica, per eleggere il sostituto di Gualtieri dimessosi da senatore dopo l’elezione a sindaco della Capitale, ha votato l’11% dei 180mila iscritti a Roma centro. Gioisce il Pd, la sua candidata ha vinto con il 60% dei voti, il 6,6% dell’elettorato. Una gioia che racconta lo stato della democrazia.
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