Vendita

L’anno pandemico non è stato un anno maledetto per tutti. Ad esempio, i 539 milioni di utile netto registrati nel 2020 sono degli ottimi motivi per festeggiare ai vertici del gruppo Coop. Sicuramente ne saranno soddisfatti i sette membri della direzione generale, visto che una parte della loro retribuzione dipende dagli utili realizzati (al massimo un 20% del salario lordo fisso annuale, si precisa nel capitolo retribuzioni).

 

A differenza degli altri anni, anche i dipendenti hanno potuto beneficiarne della ricchezza creata. Non tutti, ma le fasce più basse avranno dei miglioramenti quest’anno. Chi riceve un salario inferiore ai 4'700 franchi, si vedrà infatti crescere di 40 franchi lo stipendio mensile nel 2021, così come stabilito nelle trattative coi sindacati. Inoltre, dopo diversi anni, sono stati elevati di cento franchi gli stipendi minimi definiti dal ccl. Buona parte dei dipendenti invece, in particolare quelli con più anzianità di servizio, non beneficeranno nemmeno quest’anno dei profitti realizzati dal gigante della distribuzione elvetica. Profitti non da poco, avendo registrato complessivamente 2,5 miliardi di franchi di utile netto negli ultimi cinque anni.

 

Il pilastro della crescita di Coop rimane la vendita al dettaglio, declinata nelle varie catene di negozi specializzate per tipologia di prodotti (Fust, Interdiscount, ecc.), ma la parte del leone la fanno ancora i classici supermercati, sfiorando i 12 miliardi di ricavi netti nel 2020. Complessivamente, nei 944 supermercati Coop sparsi nel Paese vi lavorano oltre 26mila persone, equivalenti a 20mila impieghi a tempo pieno. Anche quest’anno si registra una leggera crescita dell’impiego a tempo parziale nel gruppo, confermando la tendenza nel prediligere le assunzioni a percentuale ridotta, soprattutto nei contratti d’entrata standard nei quali Coop garantisce tra le otto e venti ore settimanali d’impiego al dipendente. In sé potrebbe apparire una buona cosa se volta a facilitare la conciliazione tra gli impegni familiari e lavoro, ma nella realtà il più delle volte si traduce in una sorta di lavoro su chiamata, con la dipendente sempre a disposizione dei bisogni aziendali pur percependo a fine mese una retribuzione insufficiente.

 

Leggi anche => Coop, volano gli utili con meno personale

 

Spulciando il bilancio di Coop dell’anno pandemico, ci s'imbatte in una curiosità rimanendo nel campo stipendi. La massa salariale del gruppo è diminuita di quasi una quarantina di milioni rispetto all’anno precedente. Eppure i dipendenti complessivi gruppo sono aumentati di cinquecento unità.

 

Abbiamo chiesto a Coop di spiegare questi dati. In sintesi, imputano questa diminuzione alle fluttuazioni valutarie delle aziende estere di proprietà del gruppo elvetico, in particolare nel settore produzione. In effetti, da quando emerge dal rapporto d’esercizio 2020 del gruppo Bell (il maggior produttore alimentare aziendale di Coop e attivo in una quindicina di paesi), si osserva un calo di 19 milioni di franchi nella spesa del personale tra il 2020 e il 2019. Dedotti quest’ultimi, restano da spiegare ancora una ventina di milioni di franchi di diminuzione di costo del personale nel bilancio complessivo del gruppo.

 

Il portavoce aziendale Andrea Ruperti afferma che, tolto l’effetto valutario, «nei settori aziendali in Svizzera, i costi salariali sono stati significativamente più alti rispetto all'anno precedente». Non avendo elementi per contradire questa versione, ci limitiamo a segnalare che nella contrazione dei salari potrebbe aver giocato un ruolo il lavoro ridotto. Seppur Coop abbia garantito ai dipendenti toccati l’intero salario facendosi carico del 20% mancante, nei due mesi di lockdown l’80% degli stipendi dei collaboratori sono stati finanziati dalle casse pubbliche con il lavoro ridotto. Questa resta un'ipotesi, per ora, impossibile da veririficare.

Pubblicato il 

17.02.21
Nessun articolo correlato