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Contro l’emarginazione solo manganelli, galera e licenza di uccidere

Ecco come il governo italiano affronta i problemi dei giovani figli di immigrati e le loro proteste per l’uccisione del ragazzo in scooter abbattuto dai carabinieri a Milano

Carlo Calenda sta con le forze dell’ordine senza se e senza ma. Dunque, anche quando ammazzano un ragazzino e ne feriscono un altro perché non si fermano a un controllo? O quando esercitano la violenza su uno o più detenuti? O quando costringono delle ragazze che protestano pacificamente contro l’invio di armi all’esercito israeliano a denudarsi e piegarsi tre volte, sospettate di nascondere armi indovinate dove? Lo scooter su cui viaggiava Ramy con il suo amico è stato inseguito per otto chilometri non da una ma addirittura tre volanti, finché non è stato abbattuto e Ramy ci ha lasciato la pelle. “Bene”, commenta una delle forze dell’ordine con cui sta Calenda senza se e senza ma. Ramy era cittadino italiano, milanese, ma i media lo raccontano egiziano per via delle origini della famiglia. Una specie di marchio d’origine controllata, o forse d’infamia. Del resto, che cosa dice il maître à penser Vannacci di Paola Egonu, la migliore giocatrice di volley al mondo? Che con quel colore di pelle non si può dire che sia italiana.

 

Con decenni di ritardo rispetto ai francesi, anche l’Italia ha a che fare con l’integrazione (parola orribile, meglio sarebbe cercare l’interazione) dei giovani nati da noi da genitori immigrati da altri paesi. Ricordiamo le rivolte nelle banlieue di Parigi e l’incapacità dell’Eliseo di affrontare il problema dei giovani delle seconde e terze generazioni, l’illusione che l’uso della forza possa sostituire l’uso della ragione, la ricerca delle ragioni  ̶  pur non così incomprensibili  ̶  del malessere di una generazione di emarginati. Oggi che il problema si pone a Roma, Milano, Torino, Bologna la politica nostrana cade dalle nuvole quasi all’unisono e, in un clima da unità nazionale, tutti a gridare in coro contro la violenza.

 

Le decine e in qualche caso centinaia di giovani che protestano nelle città contro l’assassinio di un loro fratello a opera delle forze dell’ordine gridano al tempo stesso contro la loro condizione, la precarietà, la mancata accettazione, la disuguaglianza. Lo fanno in maniera politicamente scorretta, poco elegante, se la prendono con i simboli di un mondo che vivono come nemico, banche e vetrine di lusso, ma anche automobili che siano fuoriserie o utilitarie poco importa. Fanno scritte contro Israele per il genocidio di Gaza, addirittura in prossimità della sinagoga. Di loro si grida e si scrive che sono vandali, terroristi e, neanche a dirlo, antisemiti. Bisogna fermarli, con il pugno di ferro da Stato di polizia. “Ignobile episodio di disordine e caos a opera dei soliti facinorosi”, bercia Giorgia Meloni; “Criminali rossi”, sbraita Salvini. A sinistra, poco più che mugolii, naturalmente contro la violenza. Cosicché la strada verso le leggi speciali per l’ordine e la sicurezza viene asfaltata, e le risposte poliziesche impediscono di porsi le domande giuste, di chiedersi il perché di una violenza di quei giovani che a tutti appare cieca, anzi lo è, non aiuta se non chi alla violenza li spinge con la violenza delle parole e delle leggi. Ma perché si manifesta, e perché così? I protagonisti sono black bloc, o solo giovani figli di immigrati non integrati, forse perché non accettati?

 

Se non avessero una vita di merda

Forse, se alla vista delle immagini dei due ragazzi in scooter schiacciati contro il muro l’intera Italia democratica fosse scesa in piazza per chiedere giustizia, le manifestazioni di protesta avrebbero potuto avere un segno (e una direzione) diverso. E se i fratelli dei giovani immigrati di seconda generazione, quei migranti costretti alla clandestinità e all’illegalità da leggi indecenti, non dovessero vivere sotto i ponti o in un capannone abbandonato; se non fossero costretti ad accettare uno sfruttamento che rasenta la schiavitù, fino a morire di lavoro nero senza neanche rientrare nelle classifiche dell’INAIL; se i fratelli e i cugini di Ramy non finissero in troppi in galera dove rischiano tortura e suicidio; se non venissero rimpatriati in paesi canaglia grazie agli accordi osceni stipulati dal governo Meloni; se, insomma, non vivessero con una prospettiva di vita di merda: non è possibile che, in mutate condizioni di accoglienza, manifesterebbero in altre forme, e magari non più da soli?

Ma no, che ragionamenti: sono violenti, terroristi in nuce, antisemiti e allora più galera, più emarginazione, più manganelli. E i sindaci, per favore, tolgano le bandiere palestinesi dai balconi dei municipi, sennò li additeremo come complici dell’antisemitismo. Così il malessere e la rabbia di quei ragazzi “speciali” finiranno per mescolarsi con il malessere e la rabbia dei nostri ragazzi “normali”. E bisognerà costruire nuove carceri, quelle vecchie non bastano più. La morte della politica è la morte della ragione, non può che generare mostri.

 

La proposta criminale del governo

Come reagisce la destra di governo alle manifestazioni di piazza, alle proteste contro l’uso indiscriminato della violenza da parte delle forze dell’ordine? Con una proposta criminale, da regime dei colonnelli: uno scudo penale agli agenti, un’impunità per evitare che i poliziotti o i carabinieri che compiano reati possano essere perseguiti dalla legge. Sarebbe la licenza d’uccidere, contro cui si è espresso non solo il presidente Mattarella ma persino i sindacati dei poliziotti e dei carabinieri. Il problema non riguarda solo i figli dei migranti, i migranti stessi: riguarda chiunque in Italia, qualunque sia il colore della pelle, osi protestare contro le politiche di un governo liberista e fascistoide. In nome della sicurezza e persino della democrazia si criminalizzano i picchetti davanti alle fabbriche e i blocchi stradali in vista dei conflitti legati al mancato rinnovo dei contratti di lavoro, le occupazioni di case, i sit-in pacifisti e le proteste ambientaliste. Lunedì mattina a Brescia, davanti a uno stabilimento della Leonardo decine di militanti dei gruppi Extinction Rebellion, Ultima generazione e Palestina libera stavano effettuando una protesta pacifica, incatenati fuori dai cancelli per impedire l’ingresso e l’uscita di materiale bellico prodotto dall’industria militare e aerospaziale controllata dallo Stato. Protestavano contro la vendita di armi a Israele, armi utilizzate nel genocidio di Gaza. La polizia è intervenuta e ha trascinato in Questura 22 giovani e prima di procedere alla loro denuncia e alla consegna dell’immancabile foglio di via, ha dato il via alle perquisizioni intime: le donne sono state costrette a spogliarsi, a togliersi le mutande e fare tre flessioni alla ricerca di chissà cosa e chissà dove. “Per salvaguardare l’incolumità degli agenti”, recita un’indecente nota della Questura di Brescia. Piccolo particolare, ai fermati di sesso maschile non è stato intimato di togliersi gli slip. Forse perché hanno meno luoghi delle loro compagne in cui nascondere i Kalashnikov?

 

Nuvole sempre più nere si addensano nel cielo sopra l’Italia. E mancano persino gli ombrelli.

Pubblicato il

16.01.2025 08:51
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