Il primo Fondo mondiale per la lotta all’aids, la tubercolosi e la malaria, costituito a fine gennaio a Ginevra, si riunirà per la sua seconda seduta ad aprile, a New York, ma questa volta le autorità elvetiche non ne faranno un dramma. L’organismo è stato voluto da Kofi Annan che ha così conferito alle Nazioni unite la paternità morale dell’unico istituto finanziario contro le «tre grandi malattie», sebbene il Global fund sia stato di fatto varato dai ministri del G8, a Genova, dopo averne formulate le premesse l’anno precedente a Okinawa, in Giappone. Dal tandem Ginevra-New York, dalla sede europea a quella mondiale delle Nazioni unite, non c’è allora ragione di temere un trauma come quello vissuto dal governo federale quando il World economic forum di Davos si è trasferito nella città statunitense.
La scelta di Ginevra come sede del Fondo è avvenuta poco prima di Natale, a Bruxelles, dove un gruppo di delegati del G8 ha preferito la città svizzera alle candidature di Parigi, sostenuta dalla Banca mondiale, e della stessa capitale belga. Qualcuno ha giustamente osservato come la prossimità con la Cité, uno dei principali centri finanziari del mondo, stimolerà l’interesse di donatori e filantropi, una specie non troppo rara in Svizzera. Ma prevalgono su questa supposizione le ragioni ufficiali della decisione del G8 di attribuire la sede alla città di Calvino. Con l’Organizzazione mondiale della sanità, e il programma delle Nazioni Unite contro l’Aids, Ginevra concentra in effetti il know how della lotta alle «tre grandi malattie» che provocano ogni anno nel mondo la morte di sei milioni di persone. E garantisce inoltre l’indipendenza richiesta da quegli Stati che non vedevano di buon occhio la vicinanza tra Parigi e la Banca mondiale.
La lotta alle tre malattie si è imposta come una questione prioritaria, occorre adesso avviare strategie comuni, finalizzate ad una maggiore efficacia degli interventi. Tra i paesi «amministratori» (vedi riquadro), la Francia, sostenuta dall’Italia, e i Paesi in via di sviluppo intendono in questo senso andare oltre la politica preventiva e protettiva, in particolare nella lotta all’Aids, e puntano sull’accesso facilitato alle cure. Su questo tema è stata aperta una breccia alla conferenza del World trade organization (Wto) a Doha. Sulla base dell’accordo raggiunto sui prezzi dei farmaci, lo scorso novembre nella capitale del Qatar, i paesi poveri saranno esentati dal vincolo dei brevetti che proteggono i medicinali rendendoli costosissimi. Prodotti generici, detti anche salvavita, saranno messi in vendita a prezzi compatibili con le risorse dei malati e degli uffici di assistenza pubblica, una misura che, se mantenuta, permetterebbe in Africa come in Brasile o nel Sud-Est asiatico di ridurre in quindici anni il livello di infezioni a quello degli standard europei e americani.
Circa il 95 per cento delle morti da Aids si registra nei Paesi in via di sviluppo dove vive più del 90 per cento delle persone infettate. Nel 2001 si calcola che le vittime in tutto il mondo siano state tre milioni, in leggera flessione rispetto all’anno precedente, ma il contagio rimane ancora alto. Dall’inizio dell’epidemia, nel 1982, il virus Hiv ha provocato la morte di 31 milioni di persone, a fronte degli attuali 40 milioni di contagiati nel mondo, di cui circa tre quarti nell’Africa subsahariana.
Oltre il rafforzamento della lotta farmacologica si punterà a rendere maggiormente adeguate le strutture in loco pur continuando a percorrere la strada della prevenzione. Il consiglio di amministrazione del Fondo vaglierà dunque i progetti dei Paesi in via di sviluppo che faciliteranno il trasferimento delle cure dal Nord al Sud. Ma sarà dapprima necessario creare o ripristinare, in questi paesi, le condizioni quadro che permetteranno la riuscita dei programmi anti-Aids. In altri termini non basta la soluzione dei farmaci a prezzi ribassati. L’appello per aumentare le risorse deve andare di pari passo con il rafforzamento di quella politica preventiva e protettiva che non ha fin qui prodotto gli effetti scontati. Per ridurre in modo efficace la diffusione dell’Aids, che contagia ogni giorno dieci persone, circa 3 mila 500 ogni anno, si dovrà migliorare le condizioni di vita delle popolazioni maggiormente colpite dall’Hiv. Queste conclusioni sono naturalmente valide anche per la tubercolosi che genera otto milioni di nuovi casi all’anno, con tre milioni di morti, soprattutto nei Paesi in via di Sviluppo. Una malattia non accenna a voler lasciare i piani alti della pandemia, come avviene anche per la malaria che uccide oggi più di trent’anni fa, mietendo un milione di vittime ogni anno.
Al governo svizzero, intenzionato a entrare nell’Onu, la domiciliazione del Fondo nella capitale ginevrina fornisce un insperato argomento a favore dell’adesione alle Nazioni unite. La campagna internazionale di pubbliche relazioni, che l’esecutivo ha lanciato per ridare vigore all’immagine del paese all’estero, in seguito all’affaire Swissair, ha come obiettivo di presentare la Svizzera come un paese aperto, in prima linea nelle sfide che riguardano la società mondiale (come l’Aids o il terrorismo), insomma un paese che si assume seriamente le proprie responsabilità. Girato agli elettori che andranno a votare il 3 marzo, il messaggio del governo si può leggere come un richiamo alla realtà: malgrado il suo isolamento, il Paese non rimane ai margini degli eventi mondiali, ma si accolla già la sua parte di responsabilità internazionali, oltre ad aprire largamente il proprio carnet degli assegni. Intanto però, sempre all’estero, la Svizzera continua ad essere vista come un paese concentrato sui propri interessi, pronto a prendere un impegno soltanto se questo porterà immediati vantaggi economici. Il ruolo della Confederazione elvetica nella creazione del Fondo – che oltre all’impegno annuo di 10 milioni di dollari, e la partecipazione assidua ai lavori preparatori, ha disposto 600mila dollari a favore della sede ginevrina – tenderebbe a ribaltare questa immagine.
Per la lotta occorrono 7 miliardi di dollari
Il primo consiglio d’amministrazione del Fondo mondiale contro l’aids, la tubercolosi e la malaria si è riunito il 29 gennaio a Ginevra, nella sede dell’Organizzazione mondiale della sanità, dove ha stabilito il quartier generale. Al tavolo hanno preso posto diciotto membri. Sette poltrone sono occupate dai rappresentanti dei Paesi donatori, tra cui la Francia, l’Italia, la Svezia, gli Stati Uniti, il Giappone e l’Unione europea, mentre la Svizzera, la Gran Bretagna, e il Canada si spartiscono a rotazione un seggio. Sette altre poltrone sono state attribuite ai Paesi in via di sviluppo – Ucraina, Cina, Pakistan, Brasile, Tailandia, Uganda. Si attende ancora il responso sulla candidatura della Nigeria. A questi Paesi si affiancano due organizzazioni non governative (Ong), una tedesca, l’altra ugandese, e due rappresentanti dell’economia, la Fondazione Bill Gates e la multinazionale Anglo American plc. Il Fondo dispone di un capitale iniziale di 700 milioni di dollari, mentre le promesse di dono ammontano a soli 1,9 miliardi di dollari. Già l’estate scorsa il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, aveva fatto notare come questa somma fosse al di sotto dei reali bisogni finanziari della lotta. Servono almeno 7 miliardi di dollari per combattere la pandemia da Hiv. Altri tre miliardi sono necessari per lottare contro la tubercolosi e la malaria, chiamata anche paludismo. Tra i maggiori contribuenti, gli Stati Uniti elargiranno 550 milioni, seguiti da Giappone, Gran Breatagna, Paesi bassi e l’Italia con 200 milioni di dollari ognuno. Dal canto suo la Svizzera ha promesso di versare ogni anno 10 milioni di dollari. Il proprietario della Microsoft, Bill Gates, è stato il secondo donatore «privato» a farsi avanti, tramite la Fondazione Bill Gates, versando nelle casse del fondo 100 milioni di dollari. Prima di lui, Kofi Annan aveva offerto 100mila dollari a titolo personale.
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