Ginevra

 

È il 2015 quando, Souleymane - nome di fantasia per una storia vera - viene approcciato dalla Top Clean, una ditta di pulizie di Ginevra. All'epoca l'uomo, originario del Sudan, risiede in un centro di accoglienza per richiedenti l'asilo e dispone di un permesso F. Quello per le persone ammesse provvisoriamente. Souleymane è speranzoso: ha finalmente un posto di lavoro, nell'ambito – quello delle pulizie – per il quale aveva seguito una formazione appena sbarcato in Svizzera. È così che nelle fredde notti invernali gira per il Cantone a ramazzare i vari Mc Donald's, catena che aveva affidato al suo datore di lavoro il mandato per pulire i suoi ristoranti. Ma la speranza si scontra presto con i dubbi, quando, dopo aver lavorato per un mese ogni sera, non vede traccia di un franco.

 

Pazienza”, si dice. In testa Souleymane ha un miraggio: il datore di lavoro gli ha promesso un permesso B dopo un periodo di prova di tre mesi. “All'epoca non sapevo nulla delle condizioni di lavoro in Svizzera e pensavo che il mio permesso F non mi avesse dato diritto ad un contratto adeguato” ha spiegato al quotidiano Le Courrier. Poi, il suo compagno di camera lo ha esortato a contattare il sindacato Unia. Era ora di fare valere i suoi diritti. È così che ha inizio una lunga battaglia giudiziaria sfociata in una recente sentenza: dopo quattro anni e mezzo, il Tribunale di seconda istanza ginevrino ha finalmente riconosciuto colpevole di usura il titolare della ormai fallita Top Clean.

 

Negli ultimi anni, in Svizzera, la giurisprudenza ha esteso il reato d'usura all'ambito del mondo del lavoro. Non senza difficoltà, come è stato dimostrato in Ticino da alcune vicende di caporalato che non sono sfociate in nessuna condanna. Per avere successo di fronte ai giudici occorre infatti che la vittima sia riconosciuta essere in uno stato di bisogno, indotto dalla precarietà o dall'inesperienza. Cosa che, nel caso di Souleymane, era stata negata dal Tribunale di prima istanza: “I giudici hanno considerato che il mio cliente non si trovava in una situazione precaria perché assistito in un centro per migranti. Per quanto riguarda la sua esperienza, è stata ritenuta sufficiente considerando che è in Svizzera già da diversi anni e che dovrebbe quindi essere a conoscenza delle condizioni di lavoro nel Paese” ci spiega Olivier Peter, l'avvocato del querelante.

 

Ma la nuova sentenza ha ribaltato questo approccio. La Corte d'Appello di Ginevra ha infatti riconosciuto lo stato di bisogno di Souleymane: "Non aveva un'istruzione nel suo paese d'origine e quindi non ha qualifiche. Il suo livello di istruzione è quindi particolarmente basso e le sue possibilità professionali sono fortemente limitate, poiché sostiene di non saper leggere o scrivere bene. Ha vissuto in diversi foyer per migranti. Al momento degli eventi, la sua situazione potrebbe quindi essere descritta come molto precaria, sia dal punto di vista finanziario che sociale" si legge nel testo. Uno stato di bisogno che “ha indotto il ricorrente ad accettare di lavorare gratuitamente per la convenuta per un periodo di tempo”. Per i giudici non vi è dubbio che l'imprenditore “abbia sfruttato questa inesperienza per beneficiare gratuitamente della forza lavoro del ricorrente, notando che la documentazione dimostra che egli può aver agito allo stesso modo con altri dipendenti, la stragrande maggioranza dei quali aveva anche una licenza F”, La sentenza specifica infatti che la ditta di pulizia era già stata pizzicata ad impiegare lavoratori senza autorizzazione, spesso muniti di permesso provvisorio: “Si tratta di stranieri in situazioni sociali e finanziarie precarie, che non lasciavano spazio a trattative sulle loro condizioni di lavoro”.

 

Questa decisione non è solo una vittoria personale per Souleymane. La sentenza apre la porta a una migliore protezione dei lavoratori con permessi temporanei che, spesso, non sono consapevoli dei loro diritti. Questa è per lo meno la speranza di Olivier Peter: “La giustizia penale ha a lungo disertato i reati commessi nei rapporti di lavoro. Oggi, grazie alle denunce del sindacato, per lo meno a Ginevra, sta emergendo una tendenza: i datori di lavoro disonesti non solo devono pagare i salari dovuti, ma si espongono ad un rischio concreto di sanzione penale".

Pubblicato il 

11.06.20
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