Con licenziamento parlando

Io non capisco questo clima di dramma e pesantezza che si sta raggrumando attorno all'attuale crisi economica. Questa ingiustificata depressione che incrosta l'umore dei più. Un po' di ottimismo, suvvia! Prima di tutto, come si dice, mal comune mezzo gaudio e mal comunista gaudio intero. Dai, siete tutti sulla stessa barca. È il 14 aprile 1912, siete partiti da Southampton e state spensieratamente puntando su New York. Ma a bordo c'è allegria, l'orchestra suona fino alla fine. Questo è lo spirito giusto. Anzi, la parola d'ordine anche in questo periodo è senz'altro "leggerezza".
Infatti non vedete come ovunque le aziende si stanno alleggerendo del proprio personale? È tutto un rincorrersi di notizie: e la tale banca sopprime tot posti di lavoro e anche la tal altra le fa eco con brio. E aziende, ditte, fabbriche, industrie e imprese tutte licenziano. Migliaia di persone vengono lasciate a casa. Avete capito? Vengono lasciate a casa! È come una vacanza ma a tempo indeterminato, basta con le ferie interinali. Come lo vogliamo chiamare? Un lusso? A casa come i ricchi. C'è finalmente di nuovo il tempo per stare con la famiglia. Si può andare al campeggio. Di più, la tenda davvero diventa la nuova dimora. E via per una lunghissima, interminabile avventura.
Ed è, naturalmente, un circolo virtuoso. Si impara ad accontentarsi di poco, si impara a spendere meno. Così si contraggono i consumi e chi produce dovrà ristrutturare e altre persone si libereranno dalla schiavitù del lavoro.
Il gioco del licenziamento evidentemente va gustato come un dono del destino. È impensabile farsi parte attiva. A scanso di equivoci, nessuno deve immaginare di licenziare moglie e figli solo perché l'impresa-famiglia è nelle cifre rosse.
D'altro canto, purtroppo non si possono licenziare proprio tutti. Prima di tutto devono rimanere i quadri aziendali per tenere vivo il mito degli stipendi alti e poi perché se non hanno nessuno a cui impartire ordini le giornate diventano di una noia mortale. Uno non può starsene lì tutto il giorno ostaggio della propria scrivania.
In fondo è una sfida entusiasmante per quelli che rimangono che possono testare i propri limiti: riesco a fare il lavoro di quante persone? Quante posso sostituirne? Ognuno nel suo piccolo può sentirsi un supereroe. Tipo quei formidabili campioni dei film che da soli, a mani nude tengono testa a un esercito armato fino ai denti. È il mercato che ci sta insegnando (e imponendo) questi nuovi concetti di flessibilità, duttilità, capacità di farsi multi-, poli-, strafunzionale. Qui sta la lungimiranza del disegno sottostante: non si tratta, come potrebbe apparire a prima vista, di erodere risorse ma di far emergere grandi potenzialità e qualità nei pochi selezionatissimi che restano.
Mi ricorda la storia del contadino che stava insegnando al suo asino a non mangiare più erba. E ci era quasi riuscito quando inaspettatamente l'asino è morto. Morale della favola: trattavasi, appunto, di somaro.

Pubblicato il

09.11.2012 15:30
Flavia Parodi
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