Con l'oro che scotta, ci si scotta

Multata una piccola azienda che ha acquistato dei lingotti africani tramite un opaco intermediario basato a Zugo oggi nel mirino della Procura. Swissaid: «La legge va cambiata»

Nel 2019, una piccola fonderia di Riva San Vitale è stata multata dall’Amministrazione federale delle dogane per avere importato dell’oro africano non marchiato correttamente. Il metallo prezioso era stato importato a mano ed era fornito tramite una società di Zugo che fa capo ad un pregiudicato noto per le sue pratiche opache nel mondo dei metalli preziosi. Il fornitore è stato segnalato alla Procura del Canton Ticino. Questa vicenda, di cui abbiamo riferito nell’ultima edizione cartacea di area, mette ancora una volta in luce tutti i rischi, anche reputazionali, del luccicante settore aurifero svizzero.

 

Sulle lacune legislative in Svizzera, e sulle prospettive di cambiamento date dall’Iniziativa multinazionali responsabili, abbiamo intervistato Marc Ummel dell’Ong Swissaid, autore di un recente rapporto che ha fatto molto parlare quest'estate. Un rapporto che mette in causa la catena d’approvigionamento della più grande raffineria del mondo, la Valcambi di Balerna.

 

Marc Ummel, partiamo proprio dall’episodio che riguarda la fonderia di Riva San Vitale. Dell’oro nel bagaglio a mano su voli commerciali. Cosa le fa pensare?

Non è la prima volta che sento una storia del genere, ma è piuttosto inquietante. L’oro che arriva in bagaglio a mano porta con sé i rischi che il metallo prezioso sia d’origine illegale o sconosciuta. Si dice che questo avviene a Dubai e non in Svizzera. L’esempio mostra che non è così e mette in evidenza le lacune dei controlli e della legislazione svizzera. Il caso è stato scoperto perché c’è stato un problema nella dichiarazione doganale. Senza questo errore banale, quindi, tutto sarebbe andato avanti tranquillamente.

 

La presenza di un intermediario dubbioso è un altro aspetto problematico. Anche sotto questo punto di vista la legislazione è lacunosa?

Certamente. Numerose raffinerie svizzere lavorano con degli intermediari e si basano sugli obblighi di diligenza di queste società di mezzo. Senza cioè controllare loro stesse tutta la catena d’approvvigionamento. Quando l’oro viene estratto dalla miniera e lavorato in un paese di transito, i raffinatori svizzeri sono obbligati a dichiarare alle dogane solo quest’ultimo paese. Questi Stati di transito non sono produttori di oro. Basti pensare a paesi come gli Emirati Arabi Uniti o a Curaçao. Il vero problema è che le direttive internazionali richiedono già oggi che le raffinerie conoscano la vera origine del loro oro, ma in Svizzera non devono dichiararla e l’origine esatta rimane sconosciuta.

 

Cosa andrebbe cambiato nella legge?

Occorre proprio che le raffinerie debbano controllare l’insieme della catena d’approvvigionamento. Oggi la legge si basa sulla legalità della merce, ossia che se il vostro primo fornitore è legale tutto è in regola. Ma se questo fornitore si approvvigiona da un paese in guerra e che l’oro finanzia un conflitto questo non è un problema. In questo modo è troppo facile eludere la legislazione svizzera, come mostra l’esempio di Dubai. Occorre quindi una legge più severa che non tocchi solo la legalità dell’oro, ma che inglobi anche i diritti umani e la maniera con la quale l’oro è estratto.

 

Proprio l’oro proveniente da Dubai è al centro del vostro rapporto. L’operato di Valcambi è messo in discussione. Perché?

Le quantità d’oro importate da Dubai in Svizzera sono enormi. È preoccupante il fatto che alcune raffinerie affermino di non rifornirsi di oro dagli Emirati poiché è troppo rischioso ed è impossibile sapere l’origine esatta; altre invece dichiarano che non vi è nessun problema. Una delle società che fornisce Valcambi da Dubai, la Kaloti, è un fornitore problematico. Ha perso il proprio certificato negli Emirati e si rifornisce in parte con dell’oro che proviene dal conflitto in Sudan. Il fatto quindi che una raffineria si rifornisca in grandi quantità da una tale società è molto preoccupante.

 

In seguto al vostro rapporto, il settore ha fatto pressione su Valcambi affinché cessi di importare questo oro. Che effetto le ha fatto questa forte presa di posizione?

Ci ha sorpreso e rassicurato. Se anche il settore, di solito poco comunicativo, reagisce significa che c’è coscienza che la cosa sia grave. Ma non bisogna attendere che ogni volta ci voglia un’Ong che mostri una relazione problematica per fare in sorta che le raffinerie si adattino. Occorre che il settore si renda conta che ciò che serve è una legge chiara per imporre le stesse regole per tutti. Anche il controllo federale delle finanze afferma che l’autoregolazione non basta più.

 

L’iniziativa multinazionali responsabili va in questo senso. Quali miglioramenti porterà?

L’impatto più importante sarà proprio sul controllo della filiera d’approvvigionamento. Non si può limitarsi a dire che l’oro di Dubai è legale, ma occorre andare fino all’origine di questo oro per mostrare che non è problematico. In generale, per il settore dell’oro sarà un cambiamento. Anche se, in fondo, l’iniziativa non domanda niente di più di quello che le stesse raffinerie dicono di fare in maniera volontaria.

 

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Un settore molto problematico

 

Dalle quattro principali raffinerie svizzere, tre delle quali basate in Ticino, transitano circa i due terzi dell’oro commercializzato nel pianeta. Una situazione che fa della Confederazione un paese ad alto rischio. L’oro è in effetti una materia prima problematica. Da un lato per le condizioni scandalose (lavorative e ambientali) con cui viene estratto in diversi Stati; dall’altro perché il metallo giallo ben si presta al riciclaggio di denaro. Di recente, tre rapporti hanno di nuovo messo in luce le lacune legislative di questo settore. Le Ong Swissaid e Global Witness hanno puntato il dito contro la raffineria più grande del mondo, la Valcambi di Balerna: sotto accusa il fatto di rifornirsi in maniera importante da una poco raccomandabile raffineria di Dubai, la Kaloti. Un altro rapporto è invece stato pubblicato quest’estate dal rigoroso Controllo federale delle finanze secondo cui il settore del controllo dei metalli preziosi presenta alcune lacune e non è la priorità per gli uffici doganali.

 

Pubblicato il

20.10.2020 11:35
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