Con i no-global contro Bush

«A Cancun abbiamo deragliato il Wto, adesso a Miami abbiamo la possibilità di deragliare l’Alca»: i movimenti no global non ne vogliono sapere del “Free trade area of the Americas”, l’Area di libero commercio delle Americhe (Alca). Questo accordo, quando e se entrerà in vigore, interesserà i 34 Paesi del nord-centro e sud-America, esclusa Cuba, vale a dire 800 milioni di persone con un prodotto interno lordo pari a 13 biliardi di dollari. I negoziati stanno entrando in una fase cruciale. Il documento conclusivo dovrebbe essere pronto per l’inizio del 2005, ma molti cominciano a dubitare che questa scadenza possa essere rispettata. I ministri del commercio dei 34 paesi interessati si ritroveranno tra il 20 e il 21 di novembre a Miami, in Florida, dove si è dato appuntamento anche il movimento no global. È un movimento forte ed eterogeneo, che, negli Stati Uniti, sta conquistando l’interesse dei candidati democratici che si contendono il diritto di sfidare George Bush il 4 novembre dell’anno prossimo. La globalizzazione e i suoi effetti sono ormai un tema costante nei dibattiti politici. Le ragioni sono facili da capire. Da quando Bush è andato al potere, l’industria manufatturiera americana ha perso oltre 3 milioni di posti di lavoro. Molte fabbriche hanno chiuso i battenti negli Stati Uniti e la produzione è stata trasferita in Paesi dove i salari sono più bassi e i diritti dei lavoratori scarsi o inesistenti. Alcuni candidati stanno facendo loro alcuni obiettivi del movimento anti-global. Howard Dean a Dick Gephardt, per esempio, difendono l’idea di accordi internazionali equi, che devono tener conto non solo degli interessi della grande industria, ma anche dei lavoratori e dell’ambiente. L’opinione pubblica americana si è ormai resa conto che i tanto decantati vantaggi del Nafta (l’accordo di libero mercato che interessa i tre Paesi del nord America entrato in vigore circa 9 anni fa) non ci sono stati. Si calcola che questo accordo sia costato solo agli Stati Uniti oltre 700 mila posti di lavoro e un forte incremento del deficit commerciale in seguito all’aumento delle importazioni da Messico e Canada. Il mondo sindacale americano, in particolare l’Afl-Cio, l’organizzazione mantello che rappresenta decine di sindacati con oltre 13 milioni di iscritti, sta conducendo una capillare campagna d’informazione per fermare l’Alca, un accordo che viene deciso senza praticamente consultare i rappresentanti del mondo del lavoro o quelli della protezione dell’ambiente. Come era avvenuto con il Nafta, anche questa nuova apertura dei mercati rischia di far sparire molti posti di lavoro non solo negli Stati Uniti, ma persino in Messico. In alcuni casi già adesso certe produzioni sono trasferite dal Messico in Guatemala o ad Haiti, dove i costi salariali sono più bassi. I sindacati canadesi temono, dal canto loro, che l’Alca possa mettere in pericolo conquiste sociali come l’assicurazione malattia, che attualmente è estesa a tutta la popolazione. I sindacati poi sanno che questo accordo renderà ancora più difficile la penetrazione in nuovi settori o nuove fabbriche. Sempre più spesso, i datori di lavoro minacciano di trasferire la produzione all’estero se i rappresentanti dei lavoratori la spuntano ed entrano in fabbrica. Con l’arrivo dell’Alca la situazione non potrà che peggiorare. I rappresentanti dei lavoratori hanno trovato preziosi alleati nelle organizzazioni per la protezione dell’ambiente, come pure tra i piccoli contadini che sono sempre più minacciati non solo negli Stati Uniti, ma anche in Messico. Insieme vogliono bloccare l’Alca e rendere attenta l’opinione pubblica delle decisioni che vengono sempre più prese a porte chiuse, ma che interessano direttamente il cittadino medio. Gli anti-global hanno dato vita per esempio alla “Marcia verso Miami”. Simbolicamente il via è avvenuto alla fine di settembre a Seattle, la città dove nel 1999 è partita la grande protesta contro il processo di globalizzazione. La marcia ha interessato decine di località degli Stati Uniti, in particolare città che hanno vissuto direttamente il fenomeno della chiusura di fabbriche e il trasferimento all’estero della produzione. È stata anche promossa una consultazione popolare per permettere al cittadino di esprimersi contro l’Alca. La consultazione avviene soprattutto via internet. «Voto contro l’Alca. È la scelta sbagliata per i posti di lavoro, i diritti sindacali, l’ambiente e la democrazia. Per favore sostenete i diritti dei lavoratori americani e fermate l’Alca» è il messaggio che molti americani hanno inviato in questi giorni ai ministri del commercio che si riuniscono a Miami e ai rappresentanti in parlamento a Washington che domani potranno solo approvare o respingere l’accordo, ma non modificarlo. L’idea della consultazione ha riscontrato un forte successo in Brasile, dove circa 10 milioni di persone si sono espresse contro l’idea del grande mercato americano. La loro voce non è rimasta inascoltata. Il Brasile, che con gli Stati Uniti si divide la presidenza della conferenza, ha chiesto agli Stati Uniti di inserire nell’accordo anche il capitolo agricolo, ma finora senza successo. Anche richieste come queste possono contribuire a far deragliare l’Alca.

Pubblicato il

14.11.2003 04:00
Anna Luisa Ferro Mäder
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