Non è una semplice provocazione, non è la solita sparata a esclusivo uso e consumo della stampa domenicale la “proposta shock” formulata nei giorni scorsi dalla direttrice della cassa malati Css di innalzare la franchigia minima dell’assicurazione malattie dagli attuali 300 franchi annuali a 5.000 o addirittura a 10.000 franchi, misura che a suo dire dovrebbe contribuire a ridurre i sempre più insopportabili premi. Quella di colpevolizzare chi ha la sfortuna di ammalarsi è una tendenza già in atto ormai da anni, ma che di questi tempi sta subendo una pericolosa accelerata. L’uscita della rappresentante del primo gruppo assicurativo del paese (con oltre 1,2 milioni di assicurati) non è dunque casuale, ma s’inserisce in questo preciso disegno teso a “responsabilizzare” l’individuo (dicono i suoi fautori), cioè a scaricare sempre maggiori costi sui malati e a indurre gli assicurati a “scommettere” sulla loro salute. Il che, in concreto, significa limitare il libero accesso alle cure mediche di base a un numero crescente di persone e spingersi così verso una medicina a due velocità: una di qualità superiore per i ricchi e una di qualità inferiore per i poveri. Del resto, le reazioni alla proposta shock dei rappresentanti del mondo assicurativo e di taluni parlamentari borghesi (che siedono nei consigli di amministrazione delle casse malati) confermano l’esistenza di una certa intesa su un punto: le persone che non godono di buona salute e devono ricorrere sovente a cure mediche (e logicamente optano per la franchigia minima) generano troppi costi. Bisogna dunque chiamarli alla cassa, aumentare la loro partecipazione alle spese. Forse non fino a 5.000 o 10.000 franchi all’anno come pretende la direttrice della Css, ma la sostanza non cambia: questa è la direzione in cui si deve andare, lasciano intendere suggerendo aumenti di «alcune centinaia di franchi». Aumenti che andrebbero ad aggiungersi ad altri già previsti (una cinquantina di franchi dal 2020) e a una serie di misure di “responsabilizzazione dell’individuo” ancora in discussione. Si tratta di un approccio che va ad intaccare il principio di solidarietà (tra sani e malati, giovani e anziani, ricchi e poveri) su cui si regge un’assicurazione sociale come quella sulle malattie e che riduce le cure mediche a merce. Se si tiene conto che già oggi – secondo dati Ocse – il 20 per cento della popolazione svizzera rinuncia a delle cure mediche per ragioni economiche (si pensi a quelle persone che per risparmiare sul premio scelgono una franchigia elevata e poi non sono in grado di sborsare questo importo quando si trovano ad aver bisogno del medico), non è difficile immaginarsi cosa succederebbe se ci si dovesse spingere oltre. Da tempo tali rinunce non avvengono soltanto in casi lievi, ma sempre di più in situazioni in cui comporta un rischio per la salute. È il caso di quelle donne che rinunciano a sottoporsi alle periodiche visite ginecologiche, fondamentali per un'individuazione precoce (e dunque per la guarigione) dei tumori. Ogni aumento della partecipazione ai costi a carico degli assicurati può solo aggravare questo problema. Di qui la necessità di una ferma opposizione a interventi di questo tipo e di concentrare gli sforzi per risolvere il vero problema dell’assicurazione malattie in Svizzera, ossia un sistema di finanziamento profondamente anti-sociale in cui tutti (ricchi e poveri) pagano uguale. Il principio dei premi proporzionali al reddito, anche se è un’idea già bocciata in votazione popolare, resta l’unica soluzione.
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